Il disegno di legge, arrivato alla Camera dei Deputati, cambia sensibilmente. Il governo sembra concedere tutte le modifiche che non spostano granché dell’impostazione di fondo. Il testo Calabrò perde alcuni dei suoi paletti proibizionisti, lasciando forse più insidie di quelle che dovrebbe sanare. Idratazione e alimentazione potranno essere sospese qualora "risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo".
Una definizione sibillina che ruota intorno al significato dell’efficacia. Siamo d’accordo che la nutrizione forzata è necessaria per mantenere le funzioni biologiche di alcuni pazienti: un’evidenza per la medicina e per il buon senso comune di chi ha provato a immaginarsi la condizione di Eluana e dei tanti come lei. Ma non è l’efficacia il cardine che ha mosso la necessità a legiferare sulla fine della vita. Ben altri i termini in gioco. Libertà di scelta, volontà personale, qualità della vita. Nulla che possa essere ricondotto all’efficacia del trattamento di nutrizione e idratazione artificiale.
Il dato che rimane intoccabile è che questa terapia- non terapia non può essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) e, conseguentemente, potrà essere decisa solo dai medici coinvolti. Un finale coerente con lo scenario di un paese che non riesce ancora ad affrancare la cultura medica e i quesiti bioetici dal paternalismo medico e che depaupera i pazienti di ogni possibilità d’intervento sulla propria esistenza.
Il relatore Di Virgilio, che ha raccolto non a caso il consenso della neo UDC Binetti, nell’emendamento che allarga la platea dei destinatari della legge dai pazienti in stato vegetativo a quelli incapaci di intendere e volere, parla di aperture del testo di legge senza cambiare nulla del divieto categorico di decidere come si vuole vivere e morire. L’unico tema di cui avrebbe dovuto occuparsi seriamente il nostro Parlamento. E anche l’unica domanda che la storia emblematica della famiglia Englaro ha lasciato alla riflessione comune.
La legge che verrà sarà una legge per i soli cittadini che vogliono vivere in quelle condizioni che altri non vogliono e sarà un modo garbato di imporre a tutti l’accanimento terapeutico raccontandocene la sospensione come l’anticamera dell’eutanasia. La verità la dice il Sottosegretario Eugenia Roccella, quando di fronte alle modifiche e all’allargamento della platea dei destinatari si dice attenta a che tutti i cambiamenti siano coerenti e non snaturino il senso centrale del disegno di legge. Chissà se il Partito Democratico, finalmente libero dal cilicio, se ne accorgerà in tempo utile per non cercare convergenze a tutti i costi.
Il lavoro di commissione arriverà in aula dopo le regionali e il PDL su mandato di Berlusconi rivendica la propria libertà di coscienza. La loro, s’intende. Perché a tutti coloro che non avranno la loro stessa libertà di coscienza la legge toglierà tutto. Non ci sarà la nostra volontà, la nostra idea della vita, la parola dei nostri cari e di chi ci ha conosciuto profondamente. A decidere per noi ci sarà un medico. Magari e quasi sicuramente uno di quegli obiettori che nelle strutture pubbliche potranno esercitare indisturbati l’abuso di lasciarci vegetare in nome e per conto del loro dio.
di Rosa Ana De Santis
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