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Tumore al seno: la Prevenzione di base

Pensare che i tumori e in particolare il tumore del seno non siano prevenibili è un grosso errore. Altrettanto grosso è però l’errore di pensare che il tumore al seno possa essere prevenuto con la mammografia, un esame che viene troppo spesso erroneamente spacciato come preventivo. Occorre fare molta attenzione a non confondore diagnosi precoce e prevenzione: con il primo termine si descrivono interventi mirati a diagnosticare il prima possibile una malattia in atto. Tra i sistemi di diagnosi precoce ricordiamo appunto la mammografia, il PAP test e la densitometria ossea. Con prevenzione invece si intende una procedura medica o di stile di vita atta a ridurre l’incidenza di una determinata malattia. Nel settore della prevenzione la diagnostica per immagini è spesso insufficiente perchè in grado di vedere solamente danni d’organo e non squilibri biochimici e molecolari. In patologie come quelle tumorali per esempio possono passare anche 30 anni dalle prime alterazioni molecolari ad un danno d’organo visibile con indagini radiologiche.

Esiste molta confusione sul significato dei termini diagnosi precoce e prevenzione, confusione che spinge in particolare le donne a sottoporsi ad un numero eccessivo di esami radiologici nell’illusione di prevenire lo sviluppo di tumore. Pensiamo per esempio all’uso della mammografia:

- La mammografia riduce l’incidenza di tumore al seno? No. La mammografia è un indagine che può aiutare nella diagnosi precoce ma non nella prevenzione. In termini numerici di riduzione del rischio assoluto se 1.000 donne partecipano ad uno screening mammografico per 10 anni, 1 morte per tumore al seno verrà evitata. In termini di persone che devono essere trattate per salvare 1 vita queste sono 1000 per 10 anni.

- Una diagnosi precoce significa una riduzione della mortalità? Non in tutti i tumori. Una diagnosi precoce può ridurre la mortalità ma non è automatico che lo faccia. Per esempio nel caso di un tumore senza cura, una diagnosi precoce comporta solo un tempo maggiore in cui il paziente deve vivere sapendo di avere un tumore.

- Una mammografia positiva significa avere un tumore? No. Nel caso di una prima mammografia 1 caso su 10 risultati positivi ha effettivamente un tumore. Nel caso di mammografia ripetute annualmente o ogni 2 anni per 10 volte, 1 donna su 2 può aspettarsi di risultare positiva ad un esame pur non avendo il tumore.

- La mammografia è utile a ridurre la mortalità? Sembra esserlo nelle donne sopra i 50 anni ma non lo è in quelle sotto i 50. Anche nelle donne sopra i 50 anni i benefici sono modesti. In termini di riduzione del rischio assoluto considerando una popolazione di donne che dai 50 anni si sottopone a mammografia ogni 2 anni per i successivi 20 anni, vengono salvate 4 vite ogni 1000 di queste donne.

Inoltre va tenuto presente che esiste un rischio di indurre un tumore al seno a causa delle radiazioni emesse dal mammografo. Questo rischio aumenta in modo linerare con la quantità di radiazioni a cui la persona è stata esposta. Quindi tanto prima una donna inizia a fare regolarmente mammografie tanto più alto sarà il rischio che raggiunge un picco 15-20 anni dopo l’esposizione. Secondo le stime più recenti, su 10.000 donne che si sottopongono a programmi di mammografia a partire dai 40 anni, da 2 a 4 svilupperà un tumore da radiazioni e 1 perderà la vita per questo. Infine la mammografia, soprattutto nelle donne più giovani, diagnostica molti carcinomi duttali in situ che in oltre la metà dei casi non evolvono in un tumore invasivo e quindi pericoloso. La diagnosi quindi comporta successive procedure invasive spesso inutili.
Cosa vuol dire tutto questo? Le donne devono forse rassegnarsi a non poter fare nulla per prevenire il tumore della mammella? No, ma è necessario passare da una semplice diagnosi precoce poco efficace, molto costosa e con una certa dose di rischio ad un vero programma di prevenzione.

Fattori di rischio

I fattori di rischio più noti per il tumore al seno sono:

- Predisposizione genetica

- Menarca precoce

- Menopausa tardiva

- Dieta ricca di grassi

Tuttavia questi fattori di rischio sono presenti solo nel 30% delle donne. Per esempio la presenza di geni ad alto rischio (BRCA1 e BRCA2) probabilmente incide solo per il 4% di tutti i casi di tumore al seno. Evidentemente quindi sono altri i meccanismo patologici alla base di questo tumore, meccanismi che non vengono presi in considerazione ne dai programmi di screening ne dalle comuni analisi dei fattori di rischio. Inoltre se è vero che il 70% dei tumori al seno avviene proprio in quelle donne che non presentano i classici fattori di rischio, è altrettanto vero che a rischio sono quindi probabilmente tutte le donne.

Come si sviluppa il tumore del seno

Come negli altri tumori, anche in quello del seno la malattia inizia quando una cellula (che normalmente non si divide), perde proprietà di auto-regolazione, si traforma ed inizia a dividersi all’infinito. Negli stadi più avanzati alcune cellule possono staccarsi, infiltrare i vasi ed attecchire in tessuti distanti dando luogo a metastasi. Questa trasformazione è indotta da tossine ambientali ed alimentari, scarsa funzione immunitaria, virus, stress, squilibri ormonali e nutrizionali ed elevato stress ossidativo. In generale possiamo dividere le sostanze in grado di stimolare la trasformazione delle cellule mammarie in 2 classi:

- Estrogeni, sostanze estrogeno-simili e xenoestrogeni: gli estrogeni sono fattori di crescita per le cellule mammarie. Sebbene essi non siano responsabili del danno genetico che innesca un tumore, possono favorirne la proliferazione. Vista la ricchezza di recettori per gli estrogeni nelle cellule mammarie e la presenza massiccia di xeno-estrogeni è alta la possibilità di stimolazione delle cellule del seno.

- Agenti cancerogeni: sono agenti in grado di indurre un danno genetico che trasforma una cellula normale in una cellula cancerogena.

Le donne portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 hanno un rischio 4 volte più alto di sviluppare un tumore al seno.

Mettere in pratica un programma di prevenzione per il tumore al seno

Come per altri tumori, anche per il tumore del seno è possibile attuare un programma di prevenzione mirata composto da vari elementi:

1. Favorire un corretto metabolismo degli estrogeni: con estrogeni ci riferisce in realtà a 3 composti: estrone, estradiolo ed estriolo con effetti diversi di stimolazione sul tessutto mammario. L’estrone in particolare, l’ormone maggiore dopo la menopausa, ha un’azione di gran lunga più potente dell’estradiolo e dell’estriolo rispettivamente l’ormone più presente prima della menopausa e l’estrogeno della gravidanza. Inoltre gli estrogeni possono venire metabolizzati in modo diverso dando vita a metaboliti tossici e cancerogeni come il 4-OH estrone e il 16-OH estrone e metaboliti invece protettivi come il 2-OH estrone, sostanzialmente privi di attività estrogenica. Questo diverso risultato metabolico dipende da un delicato equilibrio enzimatico individuale ma può essere modificato da interventi semplici come quelli alimentari. Le verdure crucifere infatti come cavoli, cavoletti e broccoli contengono alte concentrazioni di Indole-3-Carbinolo (I3C) e Diindolilmetano (DIM) sostanze capaci di modificare l’attività di specifici citocromi (enzimi del fegato preposti a metabolizzare tossine, farmaci e sostanze endogene) e di favorire la formazione di composti protettivi come il 2-OH estrone. Per esempio la valutazione del rapporto 2/16 OH estrone con semplice esame delle urine è un indice molto utile in un programma di prevenzione per il tumore al seno. Le donne con un rapporto basso (e quindi con elevate concentrazioni di 16-OH estrone) hanno un rischio del 30% maggior di sviluppare un tumore al seno. É evidente che gli aspetti che riguardano il metabolismo degli estrogeni sono più importante della presenza degli estrogeni in quanto tali. Infatti la maggior parte dei tumori del seno si sviluppano dopo la menopausa quando i livelli complessivi di estrogeni diminuiscono ma l’equilibrio ormonale complessivo varia così come il metabolismo degli ormoni stessi. E’ importante quindi assumere tutti i giorni verdure crucifere possibilmente 2 volte al giorno.

2. Evitare la carenza di progesterone: in molte donne già subito dopo i 30 anni la produzione di progesterone cala considerevolmente. Una delle funzioni del progesterone è quella di proteggere le cellule mammarie dalla stimolazione estrogenica proteggendole quindi dal rischio tumorale. Valutare eventuali carenze di progesterone e integrarle con progesterone bioidentico (non progestinici sintetici ma progesterone con formula analoga a quella del progesterone endogeno) è importante per garantire una corretta omeostasi del tessuto mammario.

3. Determinare le predisposizioni genetiche: anche se le conoscenze genetiche attuali nel campo del tumore al seno permettono di utilizzare con certezza solo mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 che sono fattori di rischio solo nel 4% dei tumori al seno, in casi di predisposizione familiare appare sensato conoscere la presenza o meno di tali mutazioni. Questo oggi si fa con semplici esami del sangue o con un prelievo indolore di cellule della mucosa orale.

4. Fare esercizio fisico regolarmente: esercizio fisico regolare ad intensità corretta è stato messo in relazione ad una riduzione del rischio relative di tumore al seno del 30% e ad un’aumentata sopravvivenza. Inoltre l’esercizio fisico aiuta a ridurre il grasso corporeo. E’ stato visto che un eccesso di peso anche di solo 5 chili dall’età di 30 anni in poi aumenta il rischio di tumore del 25%. Il grasso, ricco dell’enzima aromatasi, contribuisce alla produzione di estrogeni.

5. Ridurre e selezionare i grassi: gli acidi grassi omega 3 contenuti in noci, pesce, semi di lino sono anti-infiammatori e anti-tumorali. Gli acidi grassi omega 6 invece contenuti in alcuni oli vegetali e in grassi animali sono pro-infiammatori e potenzialmente cancerogeni. Un’alimentazione protettiva dovrebbe dunque limitare i grassi saturi animali, le carni rosse, latte e latticini, prodotti confezionati contenenti grassi idrogenati e favorire invece il pesce, le verdure, le noci e i semi naturali.

6. Arricchire l’alimentazione con anti-ossidanti e fibra: l’eccessiva produzione di radicali liberi è una fonte di danno al DNA. Una dieta ricca di anti-ossidanti aiuta a ridurre l’impatto di queste sostanze nocive. Verdure e frutta sono ricche di fitonutrienti che assieme a vitamine come la vitamina A, E e C sono efficaci nel ridurre lo stress ossidativo. Molto utile è anche il té verde ricco di sostanze come l’Epigallocatechina 3 gallate dall’alto potere anti-ossidante. La fibra riduce l’assorbimento di sostanze tossiche e di zuccheri che stimolano la secrezione di insulina e IGF-1 e agiscono come fattori di crescita sulle cellule.

7. Evitare alcol, tabacco, pesticidi, tossine e stress: ogni fattore che ha il potenziale di danneggiare la cellula e indurre una sua proliferazione va evitato in qualsiasi programma di prevenzione tumorale.

Conclusioni

Se con le procedure di diagnosi precoce ci si illude di fare prevenzione e ci si affida in toto ad una tecnologia attribuendole capacità che essa non ha, nella prevenzione si parte sempre dallo stile di vita e da elementi basilari come la nutrizione. Esistono anche inteventi più complessi di chemio-prevenzione che possono essere indicati in casi particolari ma la prevenzione di base dovrebbe essere applicata a tutte le donne indipendentemente dalla presenza o meno di fattori di rischio.

Articolo del Dr. Filippo Ongaro edito dalla Salus Infirmorum e disponibile anche sul sito http://www.edizionisalus.it/. Il Dott. Filippo Ongaro è stato per anni medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed ha lavorato alla NASA e all’Agenzia Spaziale Russa. Oggi è Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging di Treviso e collabora con enti di ricerca tra cui l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e l’Institute for Biomedical problems di Mosca.

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Il ruolo dei genitori nella cura della salute psichica dei bambini

Disagio psicologico e preconcetti

Succede talvolta che bambini con difficoltà relazionali o in condizioni di disagio psicologico non siano sottoposti agli opportuni trattamenti, pur disponibili e provatamente efficaci, perché i genitori “non credono nella psicologia” oppure “temono che venga cambiata la loro personalità”, oppure ancora “mio figlio non è anormale!”.
Al di là della posizione polemica su ruolo e funzione della psicologia, che dovrebbe tener conto dell’evoluzione contemporanea di questa disciplina scientifica, e, parallelamente, della maggiore “credibilità” che essa deve ancora conquistarsi presso una fetta di opinione pubblica, quello che preme agli operatori della salute mentale dei soggetti in età evolutiva è il benessere (mancato) dei minori sottratti alle legittime cure da parte di esercenti la potestà genitoriale sicuramente amorevoli, ma altrettanto sicuramente ignoranti rispetto ai problemi dei figli ed alle possibili soluzioni.

La società civile si deve dunque fare carico della promozione di una nuova cultura della salute mentale che, da una parte, possa superare la diffidenza verso discipline e prassi forse ancora non del tutto “visibili” presso taluni utenti, e dall’altra, permetta di cambiare l’atteggiamento culturale di fronte al bisogno psicologico del bambino ed ai sintomi che egli spontaneamente può manifestare (ad esempio: balbuzie, ansie e paure, condotte auto- ed etero-aggressive, disturbi alimentari, disturbi dell’apprendimento, per citarne alcuni tra i più frequenti; oppure malattie psicosomatiche in cui sia preponderante la componente psichica, quali, ad esempio, alopecia areata, cefalea muscolo-tensiva, disturbi gastrointestinali, ecc.).

Purtroppo, sussiste ancora diffidenza verso la sfera psicologica dell’individuo in quanto permane la correlazione con la “follia”, che tuttora suscita timori e meccanismi di difesa tendenti a negare l’esistenza dei problemi.
Di conseguenza, mentre nessun buon genitore si sognerebbe di non sottoporre il figlio alle cure, ad esempio, dell’ortopedico se presentasse un piedino non perfettamente in ordine, si incontrano ancora genitori che sottovalutano e negano il disagio psicologico di un bambino che presenta difficoltà che non solo “non passano da sole”, ma sono destinate a cronicizzare se non adeguatamente trattate.

Il disagio mentale in età evolutiva

La salute psichica può essere definita come quella condizione psicofisica che consente al minore di sviluppare le proprie potenzialità evolutive, ossia di crescere in una relazione con l’altro sufficientemente buona e in un ambiente idoneo.
Il termine “condizione psicofisica” mette in evidenza che l’individuo è una unità psico-somatica nella quale mente e corpo sono in collegamento dinamico e inscindibile: ne consegue che salute fisica e salute mentale sono strettamente interdipendenti, soprattutto nei primi anni di vita.
E’ opportuno ricordare che tutti i bambini fisicamente sani nascono con gli stessi “talenti” e che lo sviluppo di queste potenzialità dipende in gran parte dall’ambiente in cui vivranno.
Allo stato attuale, pertanto, occuparsi di salute mentale dell’età evolutiva significa farsi carico di rendere l’ambiente di vita del bambino quanto più possibile idoneo per il suo sviluppo.
Il disagio mentale si configura, quindi, come condizione di difficoltà e sofferenza per cui lo sviluppo psicologico dell’individuo viene ostacolato. Questo disagio è evidenziato dal bambino e dalla bambina attraverso una serie di sintomi che variano a seconda dell’età e che possono essere a carico sia del corpo che della mente.

Più il bambino è piccolo più i sintomi avranno manifestazione somatica mentre, crescendo, i sintomi coinvolgeranno preferenzialmente la sfera del pensiero.
Molto spesso, però, ciò che il bambino segnala non viene preso in considerazione, a meno che non si possa collegare ad una malattia fisica, e tutt’al più viene represso con una terapia farmacologia.
In questa operazione di negazione del sintomo psicologico sono talvolta alleati inconsapevolmente molti adulti, dai pediatra agli educatori ai genitori, come detto all’inizio, se non hanno una profonda, matura coscienza che la salute è un processo multifattoriale su tre dimensioni: fisica, psicologica e socio-relazionale.
Infatti, la percentuale dei minori che, pur avendone bisogno non arrivano alla cura dei servizi per la salute mentale (pubblici o privati) è ancora piuttosto elevata, pur essendo la consultazione psicologica un diritto del bambino del tutto analogo ad una qualsiasi altra visita medica.

Come contrastare il disagio psicologico

Il primo passo è la prevenzione e il rilevamento precoce dei disturbi.
Poiché i bambini segnalano spontaneamente il loro disagio non è utile effettuare indagini a tappeto (screening) per rilevare il disagio mentale in età evolutiva.
Tuttavia è importante per una prevenzione specifica lavorare a livello integrato sugli indicatori di rischio che possono venir rilevati dai medici di base, pediatri dei servizi consultoriali, operatori sociali e sanitari della prima infanzia, insegnanti, genitori.
Per rilevamento precoce s’intende una valutazione della sintomatologia nell’infanzia e nell’adolescenza che permetta di riconoscere precocemente i primi segni di disagio mentale, proponendo le eventuali misure terapeutiche che risolvano il problema o ne evitino la cronicizzazione.
Infatti, sia che l’intervento sia posto in essere dai servizi pubblici territoriali che da professionisti privati, gli obiettivi del trattamento sono:

- impedire che il disturbo (segnale di disagio) si strutturi e diventi più grave, non essendo i disturbi psicologici di una certa rilevanza e durata soggetti a remissione spontanea;

- coadiuvare i genitori nel processo di comprensione delle cause dei disturbi dei figli e a cercare forme diverse di rapporto (al di fuori di sensi di colpa sempre in agguato);

- modificare le patologie più strutturate;

- riabilitare competenze perdute a causa dei disturbi psicologici, ad esempio difficoltà scolastiche e blocchi nella socializzazione;

- rafforzare l’identità e l’autostima del minore per evitare il loro coinvolgimento in condotte disfunzionali.

E’ dunque necessario potenziare le iniziative per rilevare, valutare e prendersi cura precocemente del disagio mentale, tenendo conto che le indagini epidemiologiche affermano che circa il 15-20% dei minori presentano disturbi che necessitano di una valutazione, ma che solo la metà di essi accede ai trattamenti. E’ per tale ragione che vanno prese misure specifiche per cogliere, ognuno nel proprio ruolo, l’evidenza della sintomatologia presentata dal bambino e per superare le difficoltà (e le diffidenze) degli adulti nella richiesta di aiuto.

Sostegno al ruolo genitoriale

E’ di primaria importanza restituire competenza ai genitori aiutandoli a superare la resistenza ad entrare in contatto con il disagio mentale dei figli e farsene carico e la diffidenza verso gli operatori psicologico-psichiatrici, spesso vissuti come giudici del fallimento della loro funzione genitoriale piuttosto che come luoghi di aiuto.
Dobbiamo riconoscere che, purtroppo, intorno agli anni ’70 una certa corrente di pensiero tendeva ad attribuire sic et simpliciter alla famiglia, ed in primo luogo alla madre, la responsabilità di tutti i disturbi dei figli, fisici, psichici e relazionali. Si ricorderanno le cosiddette “madri schizofrenogene”, autrici determinanti della discesa dei figli verso gli inferi della schizofrenia.
Ma l’evoluzione scientifica delle discipline psicologiche e psichiatriche in questi ultimi 30-40 anni ha portato a modelli interpretativi e valutativi molto più elastici e realistici: il ruolo dell’ambiente è, evidentemente, importantissimo nella genesi del benessere o del disagio di un bambino, ma oggi si intende ricercare e potenziare le caratteristiche della famiglia, e fornire sostegno nei casi di caratteristiche disfunzionali, anziché attribuire colpe ulteriormente disgreganti il nucleo familiare.

E’ necessario, pertanto, riuscire ad entrare in comunicazione con i genitori, aiutandoli ad assumersi le proprie responsabilità genitoriali sminuendo i timori e i sensi di colpa per eventuali e inevitabili errori, eventualmente indirizzandoli verso luoghi e professionisti idonei ad occuparsi del problema.
Ciò può attuarsi attraverso itinerari educativi con i genitori, in una sorta di psico-educazione che effettivamente può costituire la strada maestra della prevenzione del disagio psicologico di bambini ed adolescenti. Essa si configura come un modo di rendere le famiglie capaci di gestire sempre più autonomamente i problemi rafforzando le loro abilità strategiche e le risorse nel rapporto con i figli.
Operando per aumentare le competenze comunicative ed educative dei genitori si opera direttamente a favore del benessere dei bambini, a condizione che:

- si superi la logica degli interventi straordinari, estemporanei, per produrre cambiamenti stabili e calati nel tessuto sociale;

- ci si integri con gli altri eventuali progetti di intervento portati avanti dai vari attori sociali, per superare il rischio della frammentarietà e della sovrapposizione;

- si progettino i propri interventi in una logica circolare, in cui i genitori siano coinvolti nella progettazione e non restino i meri destinatari dell’intervento.

Conclusioni

Dopo molti anni in cui i genitori sono stati considerati la causa diretta dei disturbi psicologici dei propri figli ed esclusi da setting e progetti terapeutici, oggi i genitori vengono considerati una risorsa nel recupero della salute psichica dei bambini ed integrati nei processi di riabilitazione/terapia.
Ciò significa che essi stessi sono attori partecipi e consapevoli dei cambiamenti cui il bambino deve dar luogo per (ri)stabilire un livello adeguato di benessere e, come tali, mamme e papà sono ormai chiamati a prender parte, in varie forme, agli interventi sui disturbi psicologici dei bambini.
Ma per arrivare a questo punto di forza del trattamento, occorre che, in primo luogo, i genitori riescano ad entrare in contatto con il disagio psicologico del figlio senza sentirsi colpevoli, senza nascondere la testa sotto la sabbia per non sentire il dolore di presunti fallimenti e la vergogna per ipotetici errori.
Fare il genitore è, vox populi, il mestiere più difficile del mondo, non sono previste scuole né tirocini, eppure è la chiave di volta dell’architettura sociale e del benessere individuale.
Facciamo in modo che l’amore che proviamo per i nostri figli non accechi la nostra lucidità: se ci rendiamo conto di problemi che con il tempo (una ragionevole, ma limitata, quantità di tempo) non passano, anzi si aggravano, chiediamo aiuto. Questo non segnerà la nostra debolezza, bensì la nostra forza di guardare in faccia la realtà senza timori.


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L'importanza della Nutrizione nella Salute dell'uomo

Se da un lato è evidente che l’evoluzione tecnologica dell’uomo ha portato innumerevoli vantaggi è altrettanto vero che le profonde trasformazioni dell’ambiente in cui viviamo hanno avuto un impatto molto negativo sulla nostra salute. In particolare l’introduzione dell’agricoltura ed il passaggio da una vita da nomadi e cacciatori a quella di contadini stanziali, si è tradotta in un cambiamento radicale della nutrizione con impatti devastanti sulla salute umana. Il nostro genoma ed il nostro metabolismo si adattano però in tempi estremamente lunghi e i 10.000 anni intercorsi dalla nascita dell’agricoltura ad oggi non sono stati sufficienti ad indurre adattamenti metabolici. Questo significa in parole semplici che il nostro corpo è ancora adattato ad un’alimentazione primordiale mentre da 10.000 anni a questa parte mangiamo in modo sempre più raffinato, cibi sempre più lavorati con sempre più calorie e sempre meno nutrienti.

Alcuni studi molto interessanti condotti separatamente da Cordain, Lindenberg e Ames e pubblicati su prestigiose riviste internazionali, hanno messo in evidenza in tutta la sua drammaticità l’inadeguatezza dell’alimentazione moderna e purtroppo anche dell’approccio della medicina classica al problema nutrizione. La chiave per un’alimentazione sana è la comprensione della progressiva introduzione di cibi inadeguati per la nostra fisiologia durante l’evoluzione umana, introduzione che è alla base di molte patologie moderne come testimoniato dai numerosi studi che hanno confrontato l’incidenza di malattie come gli infarti, i tumori, il diabete e l’obesità in popolazioni che hanno un’alimentazione più vicina a quella primordiale rispetto a noi occidentali. I difetti fondamentali dell’alimentazione odierna si possono riassumere in 7 punti:

1. Eccessivo carico glicemico: l’eccessivo consumo di carboidrati raffinati (non integrali) e di zuccheri semplici è legato a molte patologie tra cui obesità, diabete, iperinsulinemia e resistenza insulinica, sindrome metabolica, ipertensione, malattie cardiovascolari, dislipidemie, sindrome dell’ovaio policistico, acne, gotta ed alcune forme di tumore (colon, seno, prostata). Il consumo annuale di zucchero nel Regno Unito è aumentato da 6.8Kg pro-capite nel 1815 a 54.5Kg nel 1970. Negli USA il consumo di zucchero nel 2000 è arrivato a 69.1Kg all’anno. Il problema non è solo l’assunzione consapevole di zucchero ma anche quella che avviene all’insaputa del consumatore. Lo zucchero è infatti aggiunto in moltissimi prodotti confezionati tra cui bibite, merendine, caramelle, condimenti e perfino nel salmone affumicato e nella senape. Eliminare il consumo di zucchero e sostituire i carboidrati raffinati con quelli integrali è un passo decisivo per migliorare la nostra salute.

2. Errata assunzione di acidi grassi: la demonizzazione spesso eccessiva dei grassi ha comportato un ridotto consumo anche di grassi sani e uno spostamento verso cibi a basso contenuto di grassi ma con zuccheri aggiunti. Un bilanciato consumo di acidi grassi è invece essenziale per la salute umana garantita in particolare dall’assunzione di acidi grassi omega 3 con proprietà anti-infiammatorie, neuro e cardio-protettive. Molte della patologie cronico-degenerative e infiammatorie sembrano essere associate ad uno squilibrio tra omega 3 ed omega 6 con eccessiva assunzione di questi ultimi. Abbondare con il pesce e utilizzare 2 cucchiai al giorno di olio di semi di lino permettono di assicuarsi l’introito adeguato di omega 3. L’altro problema che riguarda i grassi è la massiccia introduzione nei cibi industriali di grassi idrogenati che non vengono metabolizzati dal corpo umano e hanno effetti davvero devastanti sul metabolismo.

3. Errata distribuzione dei macronutrienti: la ridotta assunzione di verdure, legumi e proteine a discapito dei carboidrati ha variato la ripartizione dei macronutrienti. Oggi negli USA la percentuale di energia derivata dai macronutrienti è: 51.8% di carboidrati, 32.8% di grassi e 15.4% di proteine. Le raccomandazioni in genere suggeriscono di limitare l’introito di grassi al 30%, mantenere le proteine al 15% ed aumentare i carboidrati al 55-60%. Questi valori, comprese le raccomandazioni, non hanno nessun fondamento evolutivo in quanto si discostano molto dai valori osservati nelle diete primordiali nelle quali le proteine coprono il 19-35% delle calorie totali, i carboidrati solo il 22-40% e il rimanente viene fornito dai grassi con alto contenuto di omega 3. Inoltre va sottolineato che le percentuali sono meno importanti delle caratteristiche dei macronutrienti. C’è una bella differenza tra il 45% di carboidrati forniti da zuccheri semplici o da verdure e carboidrati complessi integrali.

4. Scarso contenuto di micronutrienti: la raffinazione e produzione industriale dei cibi li rende sostanzialmente privi delle concentrazioni di micronutrienti necessarie a garantire la salute. Nella preparazione dei carboidrati raffinati per esempio vengono eliminate quasi tutte le vitamine e i minerali. Secondo molti autori tra cui Bruce Ames, nel mondo occidentale viviamo in una condizione di carenza cronica di vitamine e minerali, carenza che non è sufficiente a dare una vera e propria avitaminosi ma che incide negativamente sul nostro metabolismo e sulla funzionalità enzimatica. Questo indirettamente potrebbe essere alla base delle patologie cronico-degenerative così tristemente frequenti nei paesi sviluppati.

5. Scarso contenuti di fibra: ai cibi raffinati viene ovviamente tolta la fibra che però ha un ruolo importante nella fisiologia dell’apparato gastrointestinale. La fibra solubile, di cui sono ricche frutta e verdura funge da tampone per l’assorbimento di zuccheri e grassi, riduce le LDL e aumenta le HDL mentre la fibra insolubile, che si trova prevalentemente nei cereali integrali serve ad ottimizzare il transito gastrointestinale e l’alvo.

6. Errato equilibrio acido-base: tutti i cibi dopo essere stati digeriti e metabolizzati rilasciano sostanze alcaline o acide nella circolazione sistemica. Oggi la maggior parte dei cibi alcalinizzanti o neutri (legumi, vedure, frutta, noci, semi, tuberi) sono spariti dalla nostra alimentazione per lasciare spazio a cibi acidificanti (carne, uova, latte, formaggi, sale). Questo comporta che molti di noi sono in uno stato di acidosi cronica che è incide sulla perdita di tessuto muscolare, sull’osteoporosi, sui calcoli renali, sull’ipertensione e sull’ insufficienza renale.

7. Errato equilibrio sodio-potassio: la dieta occidentale ha un contenuto di sodio molto più elevato del contenuto di potassio. Anche in questo caso la causa è la progressiva sostituzione di cibi ricchi di potassio con cibi poveri come i carboidrati raffinati, il latte e formaggi e ovviamente l’introduzione del sale da tavola. Complessivamente queste nuove abitudini hanno causato una riduzione del 400% del consumo di potassio e un pari aumento del sodio. Questa inversione dell’equilibrio sodio-potassio è stata correlata ad ipertensione, ictus, calcoli renali, osteoporosi, tumori gastrointestinali, asma e insonnia.

Il consumo estremo di cibi ipercalorici e iponutrienti è purtroppo molto diffuso e comporta una cronica disfunzione metabolica che coinvolge anche i mitocondri, le centrali energetiche del nostro organismo. Le carenze di micronutrienti (vitamine e minerali) causano veri e propri danni al DNA oltre che una complessi perdita di efficienza delle reazioni enzimatiche. Esiste una notevole mole di dati che indica che una carenza cronica di vitamine e minerali favorisce lo sviluppo di malattie come il cancro. La vitamina D per esempio agisce come un regolatore della proliferazione cellulare e sembra proteggere contro molte forme di tumore tra cui il cancro del seno e della prostata. La nutrigenomica, un nuovo ramo della genomica che studia gli effetti del cibo sull’espressione genica, ha messo in evidenza quanto sia errato vedere il cibo solo in termini di calorie (come viene fatto nella scienza dell’alimentazione classica). Il cibo è invece “informazione” che arriva nell’organismo e modula una serie complessa di processi anche genomici alla base della salute e della malattia.

L’inadeguatezza dell’alimentazione moderna è un dato di fatto scientificamente dimostrato. Purtroppo la maggior parte dei medici fatica a comprendere l’importanza dell’alimentazione nella salute dell’uomo (nel corso di laurea di medicina ancora oggi non si studia nemmeno 1 ora di nutrizione clinica) e a volte sembra anche che le indicazione fornite dalla classe medica siano ancora una volta filtrate delle industrie, in questo caso non quelle farmaceutiche ma quelle alimentari.
Anche se sarà necessaria ancora molta ricerca nel campo dell’alimentazione e della nutrigenomica, esiste già una solida evidenza scientifica che carenze nell’assunzione di micronutrienti possono portare a molte conseguenze deleterie tra le quali il cancro.
Sembra quindi scientificamente poco serio continuare a dare suggerimenti generici sull’alimentazione quando essa potrebbe essere il primo livello di intervento per la prevenzione e la cura di molte malattie. Non si può più oggi suggerire semplicemente una nutrizione equilibrata quando la produzione stessa del cibo lo priva delle sostanze necessarie a promuovere la salute. E’ di ieri la pubblicazione di uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità sull’obesità infantile che indica come in Italia 1 bambino su 3 tra gli 8 e i 9 anni sia sovrappeso o obeso. Questo significa che oltre 1 milione di bambini è destinato ad avere gravi problemi di salute a causa dell’alimentazione a cui sono stati esposti da genitori, scuola e spesso anche dai pediatri e medici in genere, troppe volte succubi delle incessanti pressioni pubblicitarie.

Proprio nel caso dell’alimentazione dei bambini si continuano a sentire consigli infondati e non scientifici che spingono i genitori a nutrire i propri figli con latte, yogurt, formaggio, merendine, pasta, pane, etc. ingnorando l’evidenza scientifica che indica come il latte per esempio sia un alimento nocivo per l’uomo cosi come tutti i cibi raffinati e preparati industrialmente. Questi ultimi inoltre saziano poco essendo privi di sostanze come la fibra che riempie lo stomaco e sono studiati appositamente per creare forme di dipendenza e stimolazione dei centri del piacere a livello cerebrale. In questo modo raggiungono l’obiettivo industrialmente molto utile che è quello di spingerci a mangiare sempre di più e sempre più spesso. Un esempio estremo di questa strategia commerciale sono i cosidetti cibi light, studiati appositamente per illuderci che essendo light non ingrassano e che quindi se ne possono assumere di più. Infatti l’introduzione dei cibi light (per altro ricchi di zuccheri e dolcificanti) ha coinciso con un aumento dell’obesità e con un relativo maggior consumo di quelle particolari categorie di cibo rispetto alle versioni non light.

La verità sull’alimentazione è che per garantire la nostra salute nel futuro dobbiamo impossessarci nuovamente del nostro passato. Gli animali selvatici mangiano con lo stomaco e il sistema gastrointestinale. Non ingrassano, mangiano quel che basta per sfamarsi e rimangono attivi ed autonomi fino a pochissimo prima della loro morte. L’uomo moderno putroppo mangia con il cervello ed i centri del piacere, non sazia il suo corpo ma i suoi desideri e ne paga le conseguenza in termini di malattie degenerative. Gli approcci più moderni ed innovativi all’alimentazione, come la nutrigenomica, sono sviluppi preziosi per la comprensione molecolare degli effetti della nutrizione sul corpo umano.

Dott. Filippo Ongaro




Il Dott. Filippo Ongaro è stato per anni medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed ha lavorato alla NASA e all’Agenzia Spaziale Russa. Oggi è Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging di Treviso e collabora con enti di ricerca tra cui l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e l’Institute for Biomedical problems di Mosca.

Chirurgia estetica delle cicatrici

Abbiamo piu' volte scritto che le cicatrici sono un argomento delicato e difficile, un capitolo ostico per la chirurgia, non solo per il problema della visibilita', ma soprattutto per l’impossibilita' concreta di eliminarne ogni traccia. Ogni medico sa bene che ogni soluzione di continuita' nel tessuto cutaneo e' risolvibile grazie alla cicatrizzazione, un processo che, se da un lato e' il segno dell’avvenuta guarigione, dall’altro e' una traccia indelebile.
Le tre immagini riportano le principali fasi della Mosaic Surgery eseguita su una cicatrice lungo il solco sottomammario, derivante da una precedente procedura di mastoplastica additiva. Il primo fotogramma riprende la situazione iniziale. Il secondo scatto mostra la fase intermedia ad una settimana dalla seduta di microchirurgia. La terza immagine e' stata scattata a percorso ultimato, una volta eseguito un peeling laser per uniformare l’epitelio E' esperienza comune, poi, che per una certa percentuale di persone, le cicatrici diventano in se' problematiche, sviluppando tessuto ipertrofico o addirittura patologiche, come i cheloidi. Superfluo ripetere che lo scotto estetico di una cicatrice lo si paga in tutti gli eventi traumatici in cui c’e' lacerazione della pelle, e chirurgici, compresa la chirurgia plastica estetica. ''Le cicatrici sono spesso vissute dall’individuo come una stimmate – commenta il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova – perche' imprimono indelebilmente sulla pelle l’evento che ha causato la lesione. I mezzi oggi a disposizione per affrontare la questione sono molteplici, dove le diverse procedure chirurgiche, microchirurgiche e dermatologiche si intersecano nell’obiettivo comune di minimizzare la visibilita' della cicatrice''. E' nata cosi' una intera area d’intervento nel campo della chirurgia dermoestetica dedicata alla revisione chirurgica della cicatrice. Questo approccio appare particolarmente utile nel caso in cui la lesione sia di tipo ipertrofico o comunque esteticamente deturpante. Il fine e' la riduzione dell’ampiezza e il riallestimento di una nuova cicatrice piu' accettabile. Per ottenere i migliori risultati possibili c’e' da tenere alcuni fattori che ne influenzano l’aspetto estetico, e fra questi, in primo luogo la localizzazione delle ferite appare decisamente rilevante. Se infatti la sutura avviene lungo le virtuali linee chiamate ''di Langer'', la guarigione e' piu' rapida e con minori rischi di formazione di tessuto anomalo. Inoltre, se la cicatrice si trova in una zona nascosta, e' chiaro che diventa immediatamente una lesione di secondaria importanza. ''Per questo, la prima attenzione in fase di revisione chirurgica della cicatrice e' il riallestimento della stessa in parti che si trovano lungo le naturali pliche cutanee, o comunque meno esposte alla vista'', chiosa il dottor Pallaoro. Altrettanto considerevole e' il ruolo giocato dalla trazione cutanea esercitata sul tessuto cicatriziale. ''Le ferite che di trovano in prossimita' delle giunture, infatti, spesso degenerano in cicatrici ipertrofiche, perche' la lesione e' continuamente sollecitata. Lo stesso avviene laddove l’area cicatriziale debba sopportare il peso dei tessuti con un vettore di trazione perpendicolare alla sutura'', specifica il chirurgo plastico. ''Per far fronte a questa eventualita', nel trattamento chirurgico di cicatrici ipertrofiche o antiestetiche, laddove possibile, si tenta di allestire un nuovo orientamento dei lembi''.

Fondamentale e' poi la tecnica di sutura, nella revisione chirurgica: ''un tipo di sutura per piani, cioe' praticata dall’interno verso l’esterno della lesione secondo diversi livelli, evita che il peso dei tessuti gravi esclusivamente sulla cute superficiale e che quindi si formi l’ipertrofia''. Non meno importante e' infine il metodo con cui si sutura la ferita: ''per chiudere la sutura per piani, superficialmente si rivelano utili gli stapler metallici in luogo dei punti tradizionali. Questi favoriscono l’avvicinamento dei lembi in modo omogeneo e senza raggrinzimenti''.Un peeling effettuato con il laser e' una procedura adottata per la riduzione delle cicatrici piu' leggere e superficiali della pelle, in particolare del viso, mentre un approccio evoluto e innovativo al trattamento delle cicatrici e' la micro chirurgia a mosaico, una tecnica ideata e messa a punto dallo stesso dottor Carlo Alberto Pallaoro. La Mosaic Surgery prevede la progressiva rimozione di piccoli frammenti di tessuto lesionato che vengono sostituiti da porzioni di derma sano. Questa procedura e' ripartita in genere in quattro sedute ed e' indicata per il trattamento di cicatrici sottili, come quelle provocate da interventi chirurgici, oppure le piccole lesioni lasciate dall’acne. Il percorso della Mosaic Surgery prevede che, al termine delle sedute necessarie per la sostituzione del derma danneggiato con quello sano, venga realizzato un peeling con il laser Co2 pulsato. ''La rimozione dell’epitelio ad opera del laser nel corso della procedura di peeling - conclude Pallaoro - provoca la produzione guidata di un nuovo strato superficiale senza asperita' e piu' omogeneo''.

Terapia con Gel siliconico

Tutte le soluzioni ad ora adottate per la rimozione o la revisione delle cicatrici antiestetiche, fino ad ora sono state di tipologia chirurgica (o microchirurgica, come la Mosaic Surgery, oppure con il laser Co2, come l’ablazione del peeling). Esiste pero' un innovativo metodo per prevenire la formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi e per minimizzare gli esiti estetici di una lesione anche a breve distanza dall’evento che lo ha causato. Si tratta della terapia a base di gel in silicone proposta dalla statunitense Biodermis oggi disponibile anche in Italia, attraverso il sito internet www.biodermis.eu. La gamma in gel di silicone comprende i fogli in diversi formati, uno stick e un gel. Questo tipo di trattamento non e' in realta' una terapia farmacologica, poiche' sulla pelle viene semplicemente applicato il prodotto, il quale basa la sua efficacia nella particolare barriera che forma. Il gel in silicone lascia traspirare la pelle, ma trattiene la percentuale ideale di umidita' e ossigeno tali per cui viene favorita la normalizzazione della cicatrice anche senza l’applicazione di farmaci (evitando quindi terapie corticosteroidee, le piu' utilizzate in caso di ipertrofie cicatriziali). Questa terapia e' il frutto di anni di ricerche e test clinici sull’efficacia e l’ottima tolleranza della pelle nei confronti del gel in silicone. ''L’applicazione del gel in silicone Biodermis – commenta il dottor Pallaoro – e' il trattamento ideale anche dopo la chirurgia estetica, in particolare dopo gli interventi che inevitabilmente lasciano segni visibili, come la mastopessi o l’addominoplastica, per i quali esistono cerotti preformati secondo gli schemi d’incisione''. Dopo soli due mesi di impiego costante del gel in silicone, la cicatrice viene ammorbidita, il tessuto risulta piu' chiaro e meno rilevato e si previene la formazione di complicanze. L’efficacia dei prodotti Biodermis e' testata anche su cicatrici di vecchia data.

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Mario Luigi Pallaoro

di Pallaoro Medical Laser snc

Vaginoplastica: chirurgia estetica della Vagina

Perche' una donna dovrebbe pensare ad un rimodellamento estetico di una zona cosi' intima e non esposta come l’area genitale? Negli ultimi tempi le richieste di questo tipo sono crescenti e a testimoniare la cosa e' il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova: “Le motivazioni che spingono una donna a chiedere il rimodellamento estetico della vagina sono soprattutto di tipo psicologico. Come si puo' intuire – riferisce il dott. Pallaoro - se una persona prova un grande imbarazzo nei confronti del proprio corpo o di una specifica parte di questo, tendera' a non esporla mai, a nasconderla e nascondersi, con conseguenza negative sulla psiche e relative inibizioni eccessive nel comportamento sociale.

Lo stesso vale per la zona vaginale: la donna puo' soffrire anche molto per alcune dismorfie che causano ripercussioni pesanti sul rapporto con se' e, ancor piu', con il partner, anche in ambito coniugale. Inoltre, molto difficilmente ci si rivolge al proprio medico di famiglia per discutere e per risolvere la cosa e in genere una donna ha difficolta' a trovare una soluzione, con il solo esito - negativo - di mantenere in silenzio il proprio imbarazzo”. Un rimedio puo' oggi verire dalla chirurgia estetica in maniera rapida e discreta, in giornata e senza ricovero ospedaliero. Queste le diverse possibilita'.La vaginoplastica e' l’intervento (o la combinazione di mini interventi) studiato per eliminare alcune dismorfie congenite, acquisite o che fanno seguito a interventi chirurgici alla zona (il piu' frequente e' l’episiotomia) o ad eventi come il parto naturale. A richiedere questa particolare tecnica sono donne, anche giovani, che desiderano recuperare fiducia nel proprio corpo sentendosi “normali” e a posto anche nella zona piu' intima. Il primo fattore che deteriora l’integrita' e l’aspetto originario dei tessuti resta comunque l’eta', che rilassa la cute e la parte mucosa che, di conseguenza, appare flaccida e in eccedenza. Altra causa che provoca il cambiamento dell’aspetto genitale e' senza dubbio il parto, che puo' lasciare asimmetrie nelle piccole labbra, irregolarita' nella loro forma e nell’orifizio vaginale. Molto spesso poi, per facilitare il parto, viene praticata l’episiotomia, un’incisione chirurgica nella zona che puo' residuare una cicatrice non lineare, ipertrofica o fastidiosa. La vaginoplastica comprende anche l’eventuale rimozione del tessuto cicatriziale.Anche leggere imperfezioni estetiche di altro genere possono minare la serenita' del rapporto con la propria genitalita'. “e' il caso di inestetismi come l’eccessiva prominenza della regione pubica data da un particolare accumulo adiposo nella zona, fatto rapidamente risolvibile con una micro liposuzione che modella ad hoc senza lasciare segni evidenti - aggiunge il dott. Pallaoro - ma puo' verificarsi anche il caso opposto: con l’eta' alcuni volumi si svuotano, compresi quelli esteticamente apprezzabili, come il monte di Venere, cioe' il pube. Un lipofilling studiato con attenzione rimodella e restituisce il turgore e la compattezza perduti”.

I rimodellamenti della zona genitale:

- Il ringiovanimento

Come tutti i tessuti del corpo, anche quelli vaginali - struttura muscolare, cutanea e mucosa - sono destinati a perdere tonicita' e compattezza con l’avanzare dell’eta'. La particolarita' della procedura laser per il ringiovanimento vaginale e' la percentuale di successo dell’intervento. Molte donne desiderano un intervento che risolva i piccoli problemi legati all’invecchiamento di questi tessuti: condizioni d’incontinenza in particolari situazioni (sotto sforzo, starnutendo, ridendo…), ma anche calo del piacere durante un rapporto sessuale. In capo a meno di un’ora l’intervento puo' tonificare la struttura vaginale interna ed esterna”.

- Pube “grassotello”

Per una questione fisiologica, il grasso puo' concentrarsi nella regione pubica creando un evidente dislivello. In questo caso si puo' provvedere ad una lipoaspirazione localizzata, realizzata in anestesia locale, attraverso un’incisione di un paio di millimetri. Rimosso il grasso in eccesso che sormonta il monte di Venere, il pube ritrovera' un profilo piu' armonioso e sensuale. Spesso tale accorgimento viene realizzato simultaneamente alla lipoaspirazione dell’addome

- .…o eccessivamente “ossuto”

Con l’avanzare dell’eta', molti depositi adiposi vengono riassorbiti e perdono rotondita'. e' anche il caso del pube, che senza l’adeguata percentuale di grasso sopra il monte di Venere, non ha piu' l’aspetto turgido di quello di una ragazza. “In questo caso - chiarisce il dottor Pallaoro - l’intervento consigliato e' il lipofilling della zona. In anestesia locale viene prelevata una certa quantita' di grasso dalla paziente stessa in un punto nascosto. Successivamente, lo stesso grasso prelevato e purificato, viene riposizionato sul pube, conferendo una nuova discreta rotondita'”. Trattandosi di materiale autologo, cioe' proveniente dal soggetto stesso, l’adipe iniettata non subira' rigetto. Anche questo intervento e' breve e avviene in regime di day surgery.

- Simmetria e giusta proporzione

Si sente parlare di “sex design”, quasi la chirurgia estetica dei genitali sia un intervento che riguarda esclusivamente la qualita' di una prestazione sessuale. Ma non e' sempre cosi'. Ci sono fattori che nel corpo umano sono canoni assodati e universali, come la simmetria. Il concetto vale anche per gli organi genitali: le donne sono molto sensibili in questo senso, avvertono che c’e' qualcosa di sbagliato se notano una asimmetria. In genere l’intervento richiesto riguarda le piccole labbra, che vengono rese simmetriche grazie a una precisa incisione laser. Il ritorno a casa avviene poco dopo l’intervento. L’unico accorgimento sara' quello di evitare movimenti delle gambe (ginnastica) e una particolare attenzione all’igiene per favorire la cicatrizzazione senza rischio di infezioni, considerando l’umidita' costante della zona. Anche la dimensione stessa delle piccole labbra puo' dare fastidio “e non solo esteticamente - conclude il chirurgo - se queste sono troppo lunghe e pendenti, infatti, oltre che imbarazzare in presenza di un partner, possono rendere doloroso o fastidioso il rapporto sessuale. Anche molte attivita' possono diventare scomode con questo piccolo grande difetto, come andare in bicicletta. L’intervento di riduzione e' semplice e molto rapido grazie all’impiego del laser. Si risolve in pochi minuti dopo un’anestesia locale e una piccola incisione che guarira' in breve senza lasciare tracce.Dopo il partoIn Italia, al momento del parto, la maggioranza delle donne vengono sottoposte a episiotomia, circa il 60-70%. L’episiotomia e' l’incisione chirurgica della pelle e dei muscoli del perineo nella parte posteriore della vagina e viene praticata quasi di routine durante il primo parto, per prevenire danni al neonato e lacerazioni maggiori che sarebbero difficili da suturare. La chirurgia estetica puo' intervenire anche in questo caso, correggendo sia la cicatrice (asportando il tessuto danneggiato) sia per riportare a condizioni normali l’apertura della vagina. Molto spesso, infatti, in seguito al parto e all’episiotomia (ma anche all’eta'), l’apertura puo' risultare ingrandita o asimmetrica.

pubblicato da:
Mario Luigi Pallaoro

di Pallaoro Medical Laser snc

Esercizi per il cuore: La respirazione "lobulare" toracica e il rilassamento

Il respiro, nella cultura indiana, viene associato al soffio vitale eterno e come tale assume una fondamentale importanza anche nei processi di evoluzione metafisica ma è, a mio parere, anche il mezzo più adatto per veicolare il "prana" (energia manifesta) nel corpo umano, la cui presenza promuove salute e guarigione.
Non dimentichiamo, tuttavia, che, grazie all'inspirazione, si introduce ossigeno nei polmoni e, per mezzo della circolazione sanguigna, viene distribuito in tutto il corpo, mentre l'esalazione è la funzione che la natura utilizza per espellere l'anidride carbonica pervenuta all'apparato respiratorio con il sangue.

Se prendiamo in considerazione sia il corpo, sia la circolazione sanguigna, sia l'apparato respiratorio, suddivisi in tre parti, avremo: la respirazione addominale in grado di influenzare la salute della parte più bassa del corpo (dal basso addome in giù) considerata "fisico-istintuale"; la respirazione toracica intercostale, cosiddetta media, che riguarda il sistema cardiovascolare e la costituzione "emotiva" ed infine la respirazione alta o clavicolare agente sulla salute degli organi in relazione con l'aspetto intellettivo.
Prendiamo in considerazione, dunque, la possibilità di favorire sia la prevenzione, sia la guarigione di malattie cardiovascolari instaurando una corretta e più efficiente respirazione toracica.

Ecco cosa potete fare:

sedetevi sul pavimento. La posizione da preferire è quella orientale sui talloni poiché, in questa posizione, la colonna vertebrale rimane spontaneamente eretta e, per conseguenza, il torace aperto e non contratto. Se tuttavia ci fossero impedimenti, potete sedervi a gambe incrociate o su una sedia purché la schiena sia staccata dallo schienale.

Date inizio alla respirazione "lobulare" appoggiando entrambe le mani sul torace, all'altezza dei pettorali, in modo che i medi si sfiorino. Il contatto delle mani favorisce la concentrazione nell'area interessata.
Inspirate profondamente cercando di convogliare l'aria verso l'area dell'apparato respiratorio che si trova sotto le vostre mani.
Se state agendo correttamente, il torace si espande provocando l'allontanamento dei medi e ciò vi consentirà, giorno dopo giorno, di verificare i vostri progressi.
Al contrario, quando espirate, la parte anteriore del torace si deve contrarre fino a portare le mani a sovrapporsi.

Ripetete questo esercizio, completo di inspirazione ed esalazione, più volte (da tre a nove volte) poi sistemate, rimanendo alla stessa altezza, le mani lateralmente sulle costole e sempre ponendo attenzione sul punto di contatto delle mani con il corpo, promuovete l'espansione e la contrazione dei muscoli intercostali per sviluppare una buona respirazione laterale. Anche questo, come l'esercizio che segue dovrà essere ripetuto più volte.
Portate infine il palmo delle mani a contatto con la zona posteriore, appena al di sotto delle scapole, e tentate di percepire il respiro anche in questa zona per condurla all'equilibrata espansione e contrazione.

Faccio notare che se vi fossero difficoltà nel praticare da seduti, questi esercizi, possono essere eseguiti anche da sdraiati sul pavimento o sul letto. Alcune varianti coinvolgono lo sviluppo della parte laterale che prevede una attuazione anziché bilaterale, girandosi sul fianco ora destro ora sinistro, lo sviluppo di ogni singola area. Si deve prestare attenzione alla posizione del braccio affinché resti il più possibile perpendicolare al pavimento. La sua caduta all'indietro provocherebbe una più esigua introduzione di aria. Se inoltre sussistono difficoltà nella posizione delle mani, una volta girati a pancia in giù, per dar luogo allo sviluppo posteriore, è ammesso appoggiare anziché il palmo il dorso.

Come conclusione è sempre consigliabile attuare un momento di rilassamento. Tale pratica, secondo la tradizione indiana, prevede innanzitutto la realizzazione di una corretta posizione con la testa a nord ed i piedi a sud per seguire la normale polarità dell'asse terrestre; poi bisogna tenere conto che quando il corpo si rilassa la sensazione di freddo aumenta quindi è bene coprirsi; gli occhi vanno mantenuti dolcemente chiusi, le braccia distese lungo il corpo né troppo vicine né troppo lontane ed il palmo delle mani rivolto verso l'alto; le gambe distese e rilassate con le punte dei piedi che cadono all'esterno.

Dopo che, attraverso la consapevolezza, il corpo è condotto ad abbandonarsi pienamente, si può procedere a prendere coscienza del respiro. Si parte dallo sviluppo di una osservazione passiva e, mentre la respirazione diviene più lenta e profonda, si inizia ad equilibrare il ritmo fino ad ottenere un perfetto bilanciamento su entrambe le funzioni: inspiro ed espiro. La pratica corretta del rilassamento favorisce un ridotto consumo di ossigeno e la diminuzione del battito cardiaco.

Se il rilassamento è condotto bene in genere non offre solo opportunità sul piano fisico, ma consente indagini sul piano psichico, aiutando spesso i praticanti ad individuare le cause dei disturbi che talvolta risiedono proprio qui.

di Amadio Bianchi

Colonna vertebrale: come sbloccarla e renderla elastica

Procedete nel seguente modo: sdraitevi sul pavimento in posizione di rilassamento e, per qualche istante, sviluppate ad occhi chiusi, dapprima la consapevolezza del corpo, poi quella del respiro. Quando sarete riusciti a trasferire completamente la vostra attenzione nel presente ed in ciò che state facendo, iniziate sviluppando un primo esercizio dinamico: piegate le gambe ed inspirando spingete il bacino verso l'alto. Portate le braccia sul pavimento oltre il capo, stimolando così la colonna vertebrale ad inarcarsi come nella fotografia.
Quando espirate portate le ginocchia verso il petto, abbracciatele per favorire sia l'emissione di aria sia la distensione della vertebre lombari.
Ripetete il movimento una decina di volte ed al termine riposatevi con le gambe distese, le braccia rilassate vicino al corpo, tendendo a mantenere il mento vicino allo sterno.

Ora sviluppate un secondo esercizio per favorire lo sblocco del bacino e della parte più bassa della colonna vertebrale: portate il piede destro sopra il sinistro in modo che il tallone si posizioni tra l'alluce ed il secondo dito del piede sinistro, come nella fotografia.
Inspirate ed espirando scendete con entrambi i piedi verso il lato destro, poi ritornate con i piedi al centro inspirando ed espirando fateli scendere dal lato opposto.
Ripetete questo esercizio dinamico per 10 volte sia con il piede destro sopra il sinistro, sia con il sinistro sopra il destro, poi sciogliete la posizione e di nuovo rilassatevi favorendo il ripristino della respirazione spontanea.

Passiamo al terzo movimento che, in maniera più ampia, favorirà lo sblocco del bacino e della sezione inferiore della colonna. Per prima cosa disponete le mani con le dita intrecciate sotto la nuca assumendo una posizione comoda, poi distanziate i piedi e le ginocchia divaricando il più possibile le gambe.
Anche in questo caso si deve accordare il movimento dinamico degli arti con il respiro nel modo seguente: mentre le gambe sono perpendicolari al pavimento inspirate, poi, con l'aiuto dell'espirazione fatele scendere entrambe sul lato destro.
Inspirate ancora mentre le riportate al centro ed espirando guidatele dal lato opposto.

Proseguite fino a quando non avvertite una sensazione di sblocco, fermate le gambe al centro, unitele e portate, accavallandola, la gamba destra sulla sinistra.
Inspirate e, con l'aiuto dell'espirazione fate scendere entrambe le gambe sul lato destro. Mantenete la posizione statica per 2 minuti. La gamba destra, grazie alla forza di gravità, gradualmente trascinerà la sinistra verso il pavimento, favorendone lo stiramento. Ritornate con le gambe al centro, invertite, accavallando la sinistra sulla destra e ripetete l'esercizio dall'altro lato.
Riportate nuovamente le gambe al centro, sciogliete la posizione, e lasciate scivolare i piedi fino a stendere le gambe completamente. Sciogliete anche la posizione delle braccia e distendetele lungo il corpo.

Riposatevi qualche istante permettendo al sangue e all'energia di circolare liberamente e di portare sollievo soprattutto alla parte bassa del corpo. Per non distrarvi, restate attenti alle sensazioni che vi giungono dal piano fisico, e al ritmo della respirazione. Tre, quattro minuti di pausa potranno bastare.

Con l'esercizio seguente, interesserete una porzione di colonna vertebrele leggermente più alta e precisamente l'area lombare. Unite le gambe e piegatele avvicinando le ginocchia al petto.
Abbracciatele e mantenetele in questa posizione abbastanza a lungo. Sentirete un gran sollievo ai reni. Prima di proseguire, inspirate profondamente, poi espirando, lasciate scendere entrambe le gambe sul lato destro e contemporaneamente ruotate la testa dal lato opposto.
Mantenete la posizione statica, sviluppando una respirazione calma e profonda, per non meno di due, tre minuti. Potete mentalmente contare i secondi per avere la certezza, quando sviluppate la posizione dal lato opposto, di mantenere la stessa durata. Ciò va a beneficio dell'incremento simmetrico del corpo. Per impostare la posizione dall'altro lato, inspirando riportate le gambe al centro ed espirando disponetele dall'altro lato, ricordandovi di ruotare la testa in senso contrario rispetto alle gambe.
Anche in questo caso il ritmo della respirazione, durante la fase statica, verrà ottimizzato su un ritmo calmo. Può essere interessante osservare come, durante le torsioni, la respirazione tenda a sviluppare l'elasticità laterale della gabbia toracica. Prima di proseguire potete beneficiare di un'altra pausa disponendo come al solito il corpo nella posizione di rilassamento.

L'ultima torsione, quella che maggiormente interessa la parte più alta della colonna vertebrale, viene impostata disponendo il corpo, ben allineato, sul fianco destro. Piegate, quindi, la gamba sinistra e posizionatela con il piede aderente al ginocchio destro, mentre appoggiate il ginocchio sinistro al pavimento. La mano destra, portata sul ginicchio sinistro lo trattiene, aderente al pavimento, durante la torsione. Il braccio sinistro viene inizialmente mantenuto disteso davanti al viso con il palmo della mano sul pavimento. Inspirando, sollevate il braccio perpendicolare al pavimento e espirando proseguite nella rotazione fino a portarlo dall'altro lato, sospeso a pochi centimetri da terra.
Seguite con la testa il movimento del braccio ruotandola verso lo stesso lato. Abbiate l'accortezza di mantenere la mano sospesa di qualche centimetro dal pavimento per dar vita ad una posizione attiva per circa tre minuti. Sempre per motivi di sviluppo simmetrico del corpo, dopo aver mantenuto la posizione da un lato la svilupperete anche dal lato opposto.

Non è conveniente terminare la pratica subito dopo le torsioni. È bene preoccuparsi di riallineare i dischi vertebrali e promuovere l'allungamento della spina dorsale.
Diviene importante, dunque, prima di terminare eseguire un ultimo esercizio che avrà il compito di riallineare bene la colonna.
Sedetevi e cercate di mantenere la schiena ben eretta. Inspirando portate prima le braccia verso l'alto, poi espirando lentamente spingetele in avanti come se voleste afferrare un oggetto posto oltre i vostri piedi. Abbiate l'accortezza di mantenere le gambe distese. Appoggiate le mani nel punto che riuscite a raggiungere senza eccessivo sforzo e immobili proseguite mantenendo la posizione per almeno quattro, cinque minuti.

Terminate la pratica disponendo infine il corpo nella posizione supina. Quando vi rialzerete fatelo in modo graduale evitando, così, gli effetti dell'abbassamento della pressione sanguigna.


Nel 2010 per l'Alzheimer verranno spesi 604 Mld $ nel Mondo

I costi globali per la demenza raggiungeranno i 604 miliardi di dollari nel 2010, oltre l'1% del Pil prodotto nel mondo, e sono destinati a salire ancora con il numero delle persone malate che secondo le stime triplicherà entro il 2050. Lo rivela uno studio presentato oggi.
Per esemplificare la portata del problema, un rapporto di Alzheimer's Disease International (Adi) dice che se i costi per curare circa 35,6 milioni di persone affette da Alzheimer e patologie analoghe fossero rappresentati come un Paese, questo sarebbe la 18esima economia del mondo e si collocherebbe tra Turchia e Indonesia.
Il rapporto, di cui sono autori Martin Prince del King's College London Institute of Psychiatry britannico e Anders Wimo del Karolinska Institute di Stoccolma, combina i più aggiornati dati sulla demenza con ricerche di settore in America Latina, India e Cina.
L'Adi prevede che con l'invecchiamento della popolazione i casi di demenza - la cui forma più diffusa è l'Alzheimer - quasi raddoppieranno ogni 20 anni per raggiungere i 66 milioni nel 2030 e i 115 milioni nel 2050, con una particolare concentrazione nei Paesi poveri.

fonte: Reuters