google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Balbuzie: Il Counseling applicato alla terapia

L’ampiezza del campo applicativo del counseling raccoglie anche l’intervento sul disturbo balbuzie, permettendo di superare i confini spesso limitanti dell’approccio squisitamente fonetico in modo da coinvolgere anche l’aspetto relazionale e la componente d’ansia che accompagna inevitabilmente la ridotta capacità di comunicazione. Un approccio multidisciplinare con tecniche immaginative, comportamentali e linguistiche.

La balbuzie è un disturbo cronico del linguaggio spesso sottovalutato, oggetto di poche ricerche cliniche ma di cui ormai si sa molto: colpisce in modo permanente circa 2 persone su 100, con altissima incidenza sulla popolazione affetta da trisomia del cromosoma 21, ha componente neurobiologica e altera in modo fluttuante la produzione del linguaggio. Causa gravi ricadute emotive, influenza il rendimento scolastico e lavorativo, genera un grave senso di inferiorità e dipendenza dagli altri.
Il counseling applicato alla balbuzie favorisce la liberazione delle naturali capacità di recupero della persona che balbetta. Persona che balbetta, invece che balbuziente, per sottolineare l’attenzione centrata sulla persona più che sul disturbo. In questo senso, il trattamento della balbuzie applicato dal Centro Counseling Balbuzie è, prima di tutto, una relazione umana tra operatore e utente. La richiesta del cliente è chiara e circoscritta (ricevere aiuto per smettere di balbettare): per rispondere efficacemente non si deve ignorare la carica di contenuti emotivi che ciò comporta.
Crowe ha asserito: "... la questione dell’opportunità di un counseling all’interno della pratica clinica del trattamento della balbuzie è retorica. Il counseling, infatti, si presenta nella maggioranza degli incontro per ogni tipo di terapia…" (Applications of counseling in speech-language pathology and audiology, Williams & Wilkins, 1997).
Il programma di recupero dal disturbo balbuzie applicato nel Centro Counseling Balbuzie con la tecnica elaborata dalla dott.ssa Elena Marino è rivolto a adulti e bambini oltre i 7 anni che presentino sintomi di balbuzie di qualsiasi entità. E’ applicabile in gruppi terapeutici fra i 3 e i 10 partecipanti (raggruppati in base ad una attenta scelta, per favorire il confronto e la crescita) più uno o due Operatori specificatamente preparati, che si incontrano per 15 sedute consecutive di circa 3 ore l’una e poi per 10 sedute a cadenza mensile. Il percorso coinvolge sia la sfera fonica che la sfera emotiva per un intervento decisivo sulla balbuzie e sulle sue ripercussioni quotidiane.
Interviene inizialmente sul laringospasmo, contrastando il balbettamento tramite semplici tecniche di facilitazione della fluenza, per aprire lo spazio ad un percorso di un counseling orientato all'acquisizione della capacità di un controllo che permette la risoluzione stabile della balbuzie.
La natura consiliare dell’intervento, attuato in un gruppo terapeutico, crea le condizioni adatte alla socializzazione delle emozioni e alla solidarietà allentando la resistenza al cambiamento. Fa così emergere e sostiene la motivazione a mettersi in gioco nel dialogo e nelle prestazioni verbali in genere, abilità verbali che chi balbetta vede compromesse nel profondo.
Particolare importanza riveste il momento della prima visita, che procede dalla compilazione di un questionario autovalutativo all’indagine oggettiva dell’entità del disturbo nonchè del vissuto del cliente, della motivazione e dell’opportunità o meno di un trattamento fino alla trasmissione di informazioni generali sulla balbuzie.
Chi balbetta entra in contatto con una concreta possibilità di soluzione che passa attraverso una relazione con il Counselor, integrata ovviamente da opportune tecniche ortofoniche, che costituisce la maggiore cifra distintiva della proposta terapeutica. Abbraccia il balbuziente nel suo bisogno di essere riconosciuto e amato. Una metodologia che rispetta le sofferenze, le rinunce, le umiliazioni di chi crede di "non potere riuscire" ma offre una valida alternativa nel cammino della parola. Non dimentica il mondo relazionale della persona che balbetta. Per cui coinvolge sempre almeno un familiare del minore e, laddove sia possibile, anche della persona adulta.


Trasformare la propria vita con l’intuito

Un metodo su basi scientifiche per sviluppare le proprie naturali doti d’intuito e trasformare la propria vita. Lo propone il Dr. Francesco Martelli, fondatore dell’Intuition Training e formatore del settore in Italia con esperienza decennale.


Trasformare la propria vita affinando le doti d’intuito, per riuscire meglio negli affari come nel privato? Da oggi è possibile, grazie ad un metodo scientifico sviluppato da un ricercatore con formazione accademica.
Il Dr. Francesco Martelli, pioniere dello sviluppo e dell’applicazione dell’intuito in ambito professionale, è il primo in Italia a proporre un percorso formativo fondato su basi scientifiche per sviluppare le proprie doti innate d’intuizione. Le principali ricerche dimostrano come l’accedere alle proprie risorse mentali più profonde e creative possa rivelarsi un’abilità essenziale per il superamento di situazioni complesse e problematiche negli affari.
Questa consapevolezza si sta diffondendo molto velocemente in ambito aziendale; per questo motivo sono sempre di più le aziende che decidono di far partecipare il proprio organico a percorsi formativi su misura in grado di affinare le proprie doti d’intuito.
Purtroppo, a questa emergente necessità formativa, non sempre affiorano dal mercato proposte formative adeguate. La diffusione della consapevolezza delle aziende di dover sviluppare skills d’intuizione nel proprio personale ha portato alla nascita di diversi operatori nel settore, ma non tutti operano con esperienza e con metodi fondati e pertanto rischiano di risultare poco efficaci dal punto di vista operativo.
La soluzione è quella di affidarsi a esperti qualificati, verificando il curriculum specifico del formatore. Se questi principi sono rispettati, i risultati in ambito di raggiungimento di obiettivi aziendali in seguito al percorso formativo non si faranno attendere.
“Gli sviluppi della psicologia e della ricerca scientifica permettono oggi di avere un’idea molto precisa su come agire per sviluppare maggiori doti d’intuito davanti a situazioni problematiche” afferma il Dr. Francesco Martelli, fondatore dell’Intuition Training. “Affidarsi a persone che sanno come trasmettere queste abilità in modo professionale significa garantirsi un importante know how nei confronti dei propri competitor. Un’intuizione al momento giusto può fare la differenza nella chiusura di un contratto, nella gestione di un cliente o anche di una situazione problematica complessa all’interno dell’azienda, come può dare idee innovative”.
Il riscontro positivo di un percorso formativo professionale si scopre anche dalle testimonianze lasciate dai partecipanti ai corsi, appartenenti a importanti gruppi aziendali. Come l’Ingegner Luigi Mazzola, Manager in Ferrari Auto F1, che ha affermato: “L’attività formativa con Francesco Martelli e' stata superiore alle mie aspettative ed ho potuto notare l'affinamento all'accesso delle intuizioni, alla loro qualità, ed anche ad una maggiore sicurezza.
[…] Mi ha formato attraverso la notevole pratica, inducendomi l'automatismo all'accesso delle intuizioni, ed ha innalzato il mio livello di consapevolezza nel captare situazioni che prima non vedevo così facilmente. […] Indubbiamente e' da consigliare perchè il corso lascia il segno. Dal punto di vista tecnico e di aula e' stato sempre all'altezza della situazione, con contenuti ed esercizi molto validi.
Sono argomenti che possono essere visti come inconsueti, ma Francesco ha la capacità di renderli naturali ed ovvi” (la testimonianza completa è disponibile sul sito Francescomartelli.info).

A proposito del Dr. Francesco Martelli
Francesco Martelli opera da oltre 10 anni nel campo della formazione, aiutando le persone e le organizzazioni a prendere decisioni, fare scelte e risolvere problemi.
Si è formato e continua ad aggiornarsi costantemente in Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) ed in diversi altri metodi per lo sviluppo personale, ed in istituzioni quali Arthur Findlay College e College of Psychic Studies (GB).
E’ inoltre il fondatore dell’Intuition Training ™, il primo percorso di formazione internazionale rivolto a chi desidera specializzarsi in metodi e strategie per diventare più intuitivi e creativi.

L'Orticaria e le sue cause

Le ORTICARIE sono un gruppo di malattie cutanee caratterizzate da pomfi (manifestazioni simili a quelle provocate dalle punture di zanzara) pruriginosi e fugaci. Essi sono provocati dall’eccessiva liberazione nel derma di sostanze vasopermeabilizzanti (istamina, leucotrieni, prostaglandine, serotonina, citochine, etc) da parte di speciali cellule denominate mastociti.

L’orticaria si chiama ACUTA se dura meno di 6 settimane e CRONICA se persiste oltre questo limite arbitrario. Quando ad essa si accompagna angioedema (edema delle mucose respiratorie, gastrointestinali o genito-urinarie) si parla di SOA = Sindrome Orticaria-Angioedema. In questi casi, ai tipici pomfi dell’orticaria, si associa un edema del tessuto connettivo lasso profondo, soprattutto a livello di palpebre e labbra; nei casi più gravi, l’edema può interessare anche la laringe, provocando fenomeni di soffocamento (edema della glottide di Quincke).

Le orticarie possono talora essere una spia di altre patologie associate, come nella sindrome di Muckle Wells (orticaria, sordità, amiloidosi), la sindrome di Hardy (orticaria, febbre, eosinofilia), la sindrome iper-IgE (orticaria, asma, anafilassi) ed alcune patologie tumorali (orticaria paraneoplastica).
Le recidive di orticaria possono essere sia giornaliere (forma continua) che intermittenti (orticaria ricorrente). Si parla invece di orticaria-vasculite se i pomfi assumono un colorito purpureo e persistono ciascuno oltre le 24 ore.
In base ai fattori scatenanti ricordiamo l’orticaria da farmaci, da alimenti, da additivi, da inalanti, da contatto, da agenti infettivi (es: helicobacter pylori, parassitosi intestinali, etc), da immunocomplessi e da punture da insetti (orticaria papulosa o strofulo).
Esiste un vasto gruppo di orticarie cosiddette “fisiche” perché scatenate da stimoli meccanici, termici o elettromagnetici. Si parla infatti di orticaria solare di Borsch, orticaria da freddo di Frank, orticaria da contatto caldo di Duke, orticaria da pressione di Urbach e Fasal, orticaria familiare da freddo di Kile e Rush, orticaria acquagenica di Shelley e Rawnsley, orticaria dermografica di Herderben e orticaria colinergica o da sforzo.
Per ognuno di queste classificazioni esistono ulteriori suddivisioni che nel 2007 ci permettono di riconoscere almeno 50 tipi diversi di orticaria. Per la diagnosi di alcune di esse, oggi il dermatologo può avvalersi di particolari TEST ORTICARIA FISICA (TOF) da praticarsi stesso in ambulatorio. Si tratta di esami diagnostici non invasivi, la cui esecuzione richiede poco tempo. Ogni specialista dispone di un dermografometro graduato (dermographyc tester) la cui punta smussa viene “strisciata” sulla cute del paziente. L’ice cube test prevede il contatto di un cubetto di ghiaccio per pochi minuti sulla cute dell’avambraccio, analogamente al test da caldo che prevede invece il contatto per pochi minuti con una provetta contenente acqua a 50°C. Il test da sforzo (es. cyclette) è utile per diagnosticare un’orticaria colinergica, mentre il test da pressione consiste nell’applicazione sulla cute di un peso di 1 kg/cmq per circa 20 minuti. Per la diagnosi dell’orticaria solare il dermatologo può ricorrere ai cosiddetti FOTOTEST che consistono nell’esposizione graduale a speciali lampade. Per il delicato rapporto esistente tra cute e stato emozionale (psico-immuno-dermatologia) sono molto frequenti le orticarie psicogene (orticaria adrenergica da stress di Shelley & Shelley). Le difficoltà diagnostiche sono notevoli poiché le cause sono molteplici. La terapia varia a seconda della variante clinica di orticaria e va dagli antistaminici di nuova generazione, agli antileucotrieni. Raramente si utilizzano immunomodulatori come ciclosporina, cortisonici e nosodi omeopatici.

a cura del Dott. Antonio DEL SORBO

Medico Chirurgo – Specialista in Dermatologia e Venereologia
Dottore di Ricerca in Dermatologia Sperimentale
Sito web: http://www.ildermatologorisponde.it/

Gravidanza: importanza della visita Dermatologica

Durante la gravidanza l’organismo materno si prepara al lieto evento, mettendo in atto una serie di adattamenti fisiologici di natura ormonale, metabolica ed immunologica. A livello dermatologico questi meccanismi migliorano generalmente l’aspetto della cute, rendendola più morbida al tatto, più luminosa e meno grassa.
La gravidanza non offre alla pelle soltanto benefici e talora si possono presentare degli inconvenienti, la cui intensità varia da una donna all’altra e persino da una gravidanza all’altra nella medesima donna.
Oltre alla pelle possono essere interessate le mucose e gli annessi cutanei (peli, capelli ed unghie) ed in questa fase può rivelarsi preziosa la collaborazione dermatologo – ginecologo.
Le future mamme sono molto attente non solo nella prevenzione di cellulite e smagliature, ma anche nel CONTROLLO PERIODICO DEI NEI (mappatura dei nei mediante dermatoscopia) in quanto il melanoma diagnosticato in “dolce attesa” è particolarmente aggressivo (foto 1).
Molto frequente è il prurito gravidico che compare intorno al settimo mese di gravidanza. Esso è dovuto all’aumentata sudorazione e alla disidratazione cutanea.

La cosiddetta CELLULITE (o panniculopatia edemato-fibro-sclerotica) si presenta con la cosiddetta pelle a buccia di arancia ed è dovuta a un’aumentata ritenzione idrica. Una regolare attività fisica ed una sana alimentazione possono limitare questo fastidioso inestetismo.

Le SMAGLIATURE (striae distensae gravidarum) sono invece dovute a veri e propri strappi della pelle, a livello del derma profondo e si verificano nella cute poco elastica, come conseguenza dell’aumento del peso/volume. L’uso di creme elasticizzanti suggerite dal dermatologo, può essere utile nel prevenirne la comparsa. Tra le donne gravide africane ed asiatiche tale fenomeno è quasi sconosciuto.

Le MACCHIE BRUNE della pelle (cloasma o maschera della gravidanza) sono dovute all’aumentata stimolazione del melanociti ad opera dei lipidi placentari. Generalmente si manifestano a livello delle guance, alla fronte e ai baffetti, soprattutto nelle donne di colorito olivastro. Il dermatologo in questi casi può raccomandare un buon programma di prevenzione.

PELURIA: gli ormoni della gravidanza, (androgeni placentari, ACTH, etc) possono indurre in alcune donne un aumento della peluria del viso e del corpo (irsutismo).

CAPELLI: all’inizio della gravidanza alcuni ormoni (es: estrogeni placentari e ovarici) prolungano la fase anagen dei capelli, migliorandone l’aspetto (sono più belli, folti e lucidi). Al momento del parto, la diminuzione improvvisa di questi ormoni, provoca un diradamento reversibile dei capelli, fenomeno noto a noi dermatologi come defluvium post-partum o telogen effluvium. Dopo adeguata terapia dermatologica i capelli riprendono l’aspetto di prima.

Le UNGHIE in gravidanza crescono più velocemente, ma si presentano più opache e fragili.

I FIBROMI PENDULI (molluscum fibrosum gravidarum) si presentano come piccoli rilievi color carne, ai lati del collo e delle ascelle. Hanno solo un significato estetico e possono essere facilmente eliminati dal dermatologo dopo il parto.

Durante la gravidanza l’organismo materno, modifica il proprio profilo immunologico in modo da poter “tollerare” il nuovo organismo (embrione/feto) senza provocarne il rigetto (aborto spontaneo). Il nuovo equilibrio immunitario che si viene a creare, induce il miglioramento di alcune malattie dermatologiche (es: acne, psoriasi, etc) ed il peggioramento di altre (lupus eritematoso, melanoma, etc).
Esistono poi una serie di malattie cutanee tipiche del periodo gravidico come l’herpes gestationis, il prurito gravidico e l’eruzione polimorfa della gravidanza (PUPPP).

A cura del Dott. Antonio DEL SORBO

Medico Chirurgo - Specialista in Dermatologia e Venereologia
Dottore di Ricerca in Dermatologia Sperimentale
Sito web: http://www.ildermatologorisponde.it./

La dermatite atopica e le sue cause

Il termine ATOPIA indica una condizione di aumentata reattività del sistema immunitario nei confronti di alcuni stimoli ritenuti innocui per gran parte della popolazione. Essa può interessare l’apparato respiratorio (rinite, asma), il distretto oculare (congiuntivite), l’apparato digerente (allergie alimentari) e la pelle (dermatite atopica).

La DERMATITE ATOPICA può colpire tutte le età, ma oltre la metà dei casi si presenta entro il primo anno di vita. Nel lattante compare generalmente dopo il terzo mese, presentandosi con prurito e rossore localizzati prima al viso (fronte e guance) e poi al tronco e alle pieghe flessorie di avambracci e gambe. Nel bambino più grande le chiazze tendono a diventare più secche, interessando simmetricamente le pieghe del collo, i gomiti e le ginocchia. Nell’adolescente e nell’adulto la pelle si presenta più ispessita e secca, soprattutto agli arti e talora si può localizzare alla nuca, agli angoli della bocca (cheilite atopica) e alle palpebre.
Nella dermatite atopica il prurito è riferito come feroce ed insopportabile, soprattutto nelle ore serali. La pelle atopica si presenta arida e intensamente pruriginosa a causa della ridotta attività di un enzima (delta 6 desaturasi) coinvolto nel metabolismo di alcuni acidi grassi essenziali, detti omega 6.
Gli acidi grassi essenziali contribuiscono normalmente al mantenimento del film idrolipidico della pelle e quindi alla sua importante funzione barriera. L’applicazione o l’assunzione per via orale di queste sostanze naturali (es: acido linoleico) spesso può migliorare il quadro clinico.
Generalmente la dermatite atopica migliora durante la stagione estiva, con l’acqua di mare e l’esposizione al sole.

Le CAUSE della dermatite atopica sono sia di tipo genetico (alterato metabolismo degli omega 6), sia di tipo ambientale (presenza di determinati allergeni), sia di tipo psicosomatico, come avviene per molte patologie cutanee.
Il fatto che la dermatite atopica si manifesti dopo il 3° mese di vita, periodo in cui si attuano dinamiche primarie nella relazione genitore-bambino ha suggerito l’ipotesi psicosomatica secondo la quale il lattante attraverso un meccanismo di somatizzazione attirerebbe inconsciamente l’attenzione dei genitori su se stesso (psico-immuno-dermatologia).
I pazienti affetti da dermatite atopica possono sviluppare talora un’aumentata sensibilità nei confronti di alcuni farmaci ed alimenti, con reazioni cutanee eccesive persino alle più comuni punture da insetto.

COSA FARE: Per la diagnosi e la gestione del paziente affetto da dermatite atopica, il dermatologo dopo un’accurata visita specialistica può in certe circostanze richiedere alcuni esami come il dosaggio delle IgE totali (PRIST), il dosaggio delle IgE specifiche (RAST alimenti), il prick test (vengono testati sull’avambraccio allergeni come latte vaccino, uovo, grano, soia, pesce, arachidi, dermatofagoidi, etc), il patch test (vengono applicati sul dorso per 48 ore dei cerotti contenenti i più comuni allergeni) e l’atopy patch test (applicazione di speciali cerotti diagnostici contenenti forfora di gatto, acari della polvere e graminacee). La dieta di eliminazione è indicata solo se confortata dai test allergometrici.

TERAPIA: i moderni protocolli terapeutici della dermatite atopica comprendono l’uso di creme emollienti ed olii da bagno in grado di migliorare la funzione barriera dell’epidermide, integratori dietetici a base di acidi omega 6 e olio di borragine, steroidi topici (per brevi periodi), antistaminici per via orale, immunomodulatori topici (es: inibitori della calcineurina), elio- e fototerapia (esposizione graduale al sole o a speciali lampade dermatologiche).

A cura del Dott. Antonio DEL SORBO
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Il Prurito e le sue cause

Il PRURITO è la più frequente e sgradevole sensazione cutanea ed induce il soggetto a grattarsi. I bambini e gli anziani sono colpiti più frequentemente perché hanno una cute più secca. Le cause di prurito possono essere le più svariate (es: orticaria, eczema, dermatite atopica, punture da insetti, scabbia, pediculosi, malattie epatiche, insufficienza renale, gravidanza, farmaci, ossiuriasi, stress, etc). Esistono delle situazioni in cui un prurito persistente può far pensare addirittura ad una patologia neoplastica associata, in particolare del colon, dello stomaco o del polmone (prurito paraneoplatico). Nell'infezione da HIV la comparsa di prurito può indicare l'evoluzione verso l'AIDS conclamata. Generalmente le manifestazioni pruriginose tendono ad aumentare nelle situazioni che favoriscono la liberazione nella cute di una sostanza denominata istamina (es: dopo una doccia, dopo un pasto abbondante, dopo una corsa o semplicemente nelle ore serali, specie di notte). Oltre al rilascio nella pelle di istamina sono coinvolte altre sostanze come i leucotrieni, le prostaglandine, le chinine, gli oppioidi, la sostanza P e la neurotensina. A causa del grattamento cronico le unghie delle mani possono diventare lucide.

COME SI SPIEGA
la pelle è costituita da uno strato superficiale (epidermide) e da uno strato profondo (derma). A confine tra questi due strati (giunzione dermo epidermica) vi sono delle sottili terminazioni nervose che conducono al midollo spinale lo stimolo del prurito. Il grattamento è una reazione riflessa che l'organismo mette in atto nel tentativo di ostacolare la trasmissione di tale stimolo al sistema nervoso centrale (teoria del gate control).

LE CAUSE
 Il prurito della gravidanza si manifesta generalmente intorno al 6° mese ed è dovuto alla stasi biliare indotta dall'aumento volumetrico dell'addome della gestante. Nell'insufficienza renale cronica invece il prurito è dovuto alla presenza nella cute di sostanze come il fosforo e magnesio (prurigo uremica). Negli anziani (prurito senile) e in alcuni bambini con tendenza atopica il prurito è dovuto alla disidratazione della cute. Esiste anche un tipo di prurito scatenato da agenti irritanti (es: saponi, cosmetici, lana di vetro, tessuti) ed un prurito da farmaci (es: alcuni antibiotici e steroidi anabolizzanti). Quando il prurito insorge in seguito al bagno in un lago, bisogna tenere anche presente la cosiddetta dermatite dei nuotatori, scatenata dall'infestazione della pelle da parte dei parassiti delle anatre. Esistono poi forme più rare di prurito come la prurigo nodulare di Hyde, la prurigo aestivalis e la prurigo diabetica.

COSA FARE
è importante in presenza di prurito persistente consultare il proprio dermatologo per programmare una visita specialistica accurata, avendo l'accortezza di non tentare terapie “fai da te” che possono modificare il quadro clinico. Il dermatologo è in grado tramite l'esame obiettivo ed eventuali accertamenti (es: emocromo completo con formula, VES, QPE, transaminasi, markers epatite, creatinina, azotemia, IgE totali, dosaggio dei sali biliari, anticorpi anti-gliadina, etc) di programmare un percorso terapeutico mirato al problema. L'uso di creme emollienti o di antistaminici per via orale offre benefici solo temporanei, se non si identifica prima la causa del prurito. Un esame parassitologico delle feci può essere utile nei casi di prurito persistente delle zone intime. Nel sospetto di una scabbia o di una pediculosi, il dermatologo esegue al momento della visita una ricerca del parassita, mediante uno strumento denominato dermatoscopio. Se il medico sospetta una causa allergica, vi sono dei particolari test (patch test, test orticaria fisica, etc) che lo specialista può eseguire al momento della visita. In casi selezionati il dermatologo può ricorrere a discipline olistiche come l'omeopatia e i fiori di Bach.

A cura del Dott. Antonio DEL SORBO

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Autismo: l'importanza del Supporto nutrizionale

L’autismo viene considerato dalla medicina classica una malattia psichiatrica. Nonostante l’eziopatogenesi della malattia rimanga in gran parte oscura, la classificazione dell’autismo in malattia psichiatrica espone molti bambini affetti a terapie estremamente rischiose. Tale classificazione viene sostenuta esclusivamente dai sintomi tipici della malattia che comprendono distacco sociale, isolamento, ritardo nella parola e ridotte capacità di interazione sociale ma che non necessariamente devono indicare un disturbo di tipo psichiatrico.

Forse proprio per questo l’approccio convenzionale all’autismo, basato solo sull’uso di psicofarmaci, è largamente fallimentare e lascia gli affetti e le loro famiglie con più problemi che benefici.
L’errore fondamentale della medicina convenzionale è di continuare a cercare una singola causa di malattia anche per patologie chiaramente multi-fattoriali. Questo potrebbe essere proprio il caso dell’autismo che potrebbe non avere una causa singola ma essere invece un prodotto di molteplici fattori tra cui predisposizioni genetiche, infiammazione, ridotta funzionalità gastrointestinale, aumentato stress ossidativo, incapacità a neutralizzare tossine, reazioni autoimmuni e ridotta funzionalità mitocondriale. A tutto ciò vanno aggiunti i possibili gravi danni da vaccini e i conservanti e addittivi alimentari.
Seguendo questa linea di pensiero si potrebbe concludere che l’autismo non è una malattia ma una conseguenza di un carico tossico che l’organismo non riesce a smaltire e che esecita la sua azione nociva in particolare a livello del sistema nervoso centrale. Una strategia terapeutica quindi molto più razionale della semplice ma inefficace prescrizione di psicofarmaci è quella di:

1. Modificare l’alimentazione in modo da guarire l’intestino e ridurre l’esposizione a tossine esterne;

2. Fornire supporto nutrizionale in modo da aumentare le difese anti-ossidanti;

3. Fornire supporto nutrizionale in modo da aumentare la capacità di detossificazione;

4. Eliminare sostanze tossiche come il mercurio.

L’alimentazione

E’ provato da numerose ricerche che la maggior parte dei bambini affetto da autismo ha una funzionalità gastrointestinale compromessa. Il sistema gastrointestinale è fondamentale perchè neutralizza microbi, permette la digestione degli alimenti e l’assorbimento dei nutrienti. Ma esso funge anche da barriera selettiva, capace di filtrare sostanze tossiche impedendo il loro ingresso nella circolazione. Molte di queste funzioni sembrano essere compromesse nei bambini autistici.

Un primo passo fondamentale nel percorso di guarigione dell’intestino è quello di eliminare gli zuccheri semplici di cui purtroppo l’alimentazione dei bambini continua ad essere molto ricca e che contribuiscono pesantemente alla crescita di batteri nocivi nel tratto gastrointestinale. Allo stesso modo l’eliminazione di cibi raffinati e contenenti addittivi riduce la quantità di tossine introdotte nell’organismo. Questi alimenti dovrebbero essere sostituti da proteine ad alto valore biologico e cibi ricchi di fibra e anti-ossidanti come la frutta e la verdura. Anche alimenti frequentemente allergenici come pomodori, uova, soia e noccioline dovrebbero essere esclusi.
Altro alimento sfortunatamente ancora troppo spesso consigliato ai bambini soprattutto dai pediatri è il latte. Occorre ricordarsi che l’uomo è in grado di digerire ed assobire in modo ottimale solo il latte materno. Il latte vaccino è ricco di proteine non digeribili ed allergeniche, contiene lattosio a cui moltissime persone sono intolleranti e contiene una lunga serie di sostanze nocive derivate dall’alimentazione dell’animale che fornisce il latte. I bambini autistici inoltre traggono spesso giovamento dal seguire un dieta priva di glutine. Questi accorgimenti se ben seguiti possono permettere all’intestino di guarire.

Il supporto alimentare

Diversi supplementi nutrizionali utilizzati sotto controllo medico possono essere utili per i bambini affetti da autismo. Va sempre considerato che non si tratta di farmaci in grado di contenere direttamente i sintomi e le manifestazioni dell’autismo ma di sostanze biologiche che possono favorire un processo di auto-guarigione e detossificazione.

1. Enzimi digestivi: L’incompleta digestione proteica, in particolare di proteine come la caseina e il glutine induce la formazione di piccole molecole peptidiche che molti ricercatori ritengono essere una concausa dell’autismo. Queste molecole infatti sarebbero in grado di passare la barriera emato-encefalica e creare danni irritativi nel sistema nervoso centrale. Possono essere assunti enzimi digesitivi come tripsina, pepsina, chimotripsina e amilasi. Enzimi vegetali come la bromelina (derivata dall’ananas) hanno una potente azione anti-infiammatoria e contribuiscono a ridurre i sintomi gastrointestinali frequentemente riscontrati nei bambini autistici tra cui gonfiore, flatulenza, crampi addominali e diarrea.

2. Probiotici: L’equilibrio tra le varie popolazioni batteriche residenti nell’intestino è fondamentale per la salute dell’intero organismo. Nei bambini autistici in particolare ma anche nei tanti bambini a cui vengono prescritti con troppa leggerezza antibiotici, ci possono essere gravi squilibri della flora batterica intestinale. I batteri patologici che crescono incontrastati generano tossine pro-ossidanti ma possono essere contrastati efficacemente da probiotici e prebiotici ad alto dosaggio (100 miliardi di colonie batteriche attive).

3. Vitamine: i bambini affetti da autismo possono essere carenti di molte vitamine a cause della loro ridotta capacità di assorbimento a livello gastrointestinale e dei frequenti episodi di diarrea. Le vitimane del gruppo B sono spesso carenti e sono fondamentali in innumerevoli processi biochimici. La vitamina B6 in particolare è necessaria per la sintesi di diversi neurotrasmettitori e una sua integrazione è stata messa in relazione con miglioramenti dell’attenzione, del sonno e del linguaggio. La vitamina A è importante per i tessuti a rapida crescita come l’epitelio intestinale e i nervi e la vitamina C è un potente anti-ossidante ma serve anche per la sintesi di neurotrasmettitori.

4. Supporto per la detossificazione: i bambini autistici hanno spesso una capacità di smaltimento delle tossine ridotta e scarse concentrazioni di composti contenenti zolfo come glutatione, metionina, cistationina e cisteina. L’assunzione di glutatione, N-acetilcisteina, glicina e acido alfa-lipoico può servire a ottimizzare i processi di detossificazione.

5. Acidi grassi essenziali: gli acidi grassi eicosapentanoico e docosapentanoico sono componenti delle membrane cellulari e numerosi studi hanno messo in evidenza la loro carenza in bambini affetti da autismo. Inoltre questi acidi grassi omega 3 sono potenti anti-infiammatori in grado di ridurre la risposta infiammatoria eccessiva spesso presente nei bambini autistici.

Conclusione

Gli approcci farmacologici nella cura dell’autismo sono stati sostanzialmente fallimentari. L’autismo non è una malattia a singola eziologia facilmente aggredibile con un farmaco specifico bensì una complessa manifestazione multi-fattoriale che può essere più efficacemente contenuta con un approccio multi-modale che prenda in considerazione la nutrizione e la supplementazione naturale.


Articolo del Dr. Filippo Ongaro edito dalla Salus Infirmorum e disponibile sul sito www.edizionisalus.it. Il Dott. Filippo Ongaro è stato per anni medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed ha lavorato alla NASA e all’Agenzia Spaziale Russa. Oggi è Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging di Treviso e collabora con enti di ricerca tra cui l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e l’Institute for Biomedical problems di Mosca.

Prevenzione e diagnosi del Melanoma cutaneo

Il melanoma cutaneo o melanoma maligno, è soltanto uno dei tumori che colpiscono la pelle, ma è decisamente il più aggressivo e pericoloso e con purtroppo alto tasso di mortalità .

Risulta dalle statistiche degli ultimi anni in costante aumento ed è per questo che è importante una prevenzione ed una diagnosi precoce.
Il melanoma prende origine da particolari cellule della pelle chiamati melanociti che si trovano nello strato cutaneo superficiale chiamato ‘epidermide.
Tuttavia non esistono soltanto melanomi cutanei: per esempio la forma di tumore oculare più diffusa è proprio il melanoma. Se non viene precocemente diagnosticato trattato, il melanoma cutaneo si rivela mortale in un’altissima percentuale di casi, a differenza di altri tumori cutanei, che hanno origine da tipi di cellule diversi come le basali o le squamose. È una patologia che colpisce prevalentemente i soggetti adulti, e le popolazioni di pelle chiara, ma occasionalmente può manifestarsi anche in bambini e adolescenti.

COME SI RICONOSCE UN MELANOMA ?
Il melanoma si presenta come una zona della cute di colore più scuro che, all’inizio nel tipo più comune chiamato melanoma a diffusione superficiale, può avere fino fino a 2-3 centimetri di diametro.
Il melanoma nodulare, invece, si sviluppa più in profondità che in superficie ed è di norma di colore blu scuro: qualsiasi cambiamento di colore o forma in un neo o in una verruca, secondo quanto stabilito già da tempo dall’American Cancer Society, vanno considerati come segno di una possibile lesione maligna, da sottoporre all’attenzione del dermatologo o del chirurgo ed eventualmente a biopsia (prelievo del tessuto) e a esame istologico,in grado di darci conferma della possibile malignità della lesione.
A volte, il tumore si manifesta anche come un nuovo neo che viene a formarsi in una zona di cute normale.
Il melanoma può presentarsi in qualsiasi regione anatomica della cute, anche se negli uomini compare più spesso sulla cute di torace, schiena, collo e testa, mentre nelle donne sono prevalenti i melanomi su braccia e gambe. A uno stadio più avanzato della malattia possono formarsi altri melanomi cutanei vicini alla lesione primitiva, denominati “satelliti”.
La lesione primitiva può dare luogo a metastasi sia regionali, cioè vicine, sia lontane. A questi due tipi di metastasi corrispondono due diverse vie di diffusione. La diffusione delle cellule tumorali lungo i vasi linfatici e ai linfonodi più vicini alla sede del tumore danno luogo alle metastasi regionali, mentre quelle in organi lontani sono dovute anche alla diffusione attraverso i vasi sanguigni e vengono denominate metastasi a distanza.

EPIDEMIOLOGIA DEL MELANOMA

Il melanoma una delle malattie tumorali in aumento quasi esponenziale.
Essenzialmente il melanoma è una malattia delle popolazioni bianche, e l’incidenza varia notevolmente, fino a 100 volte, da paese a paese. In assoluto il maggior numero di casi si registra in Australia, in particolare nel Queensland, una zona vicina all’equatore dove la popolazione è di origine nord-europea. Qui il numero di nuovi casi ogni anno è pari a 40 per 100.000 abitanti.
Tra i bianchi statunitensi di età compresa tra 35 e 44 anni è il tumore più diffuso, e anche nelle aree dove l’incidenza è più bassa (per esempio l’Europa o il Giappone) sono stati registrati aumenti rapidi e significativi.
Alcuni studi hanno dimostrato che esiste una differenza tra i sessi per quanto riguarda la mortalità per melanoma in alcune aree d’Europa, disparità che vedono sfavoriti gli uomini, tuttavia non si tratta di un dato biologico, in quanto è emerso che gli uomini sono meno informati sulla malattia e sui diversi mezzi di prevenzione e diagnosi precoce e tendono a presentarsi più tardi al medico.
In prima approssimazione, si può concludere che negli ultimi 30 anni la frequenza di questa malattia è raddoppiata ogni dieci anni. Tuttavia non si può ancora indicare una causa di questo fenomeno e, comunque, una buona parte di questo incremento è dovuta alla possibilità delle diagnosi precoci, e al fatto che si organizzano con più frequenza screening sulla popolazione.

Quali sono i fattori di rischio del melanoma?

Come per moltissimi altri tipi di tumore, anche per il melanoma sono state ipotizzate condizioni che favoriscono il sorgere della malattia, alcune di tipo ambientale (l’occupazione svolta, l’esposizione al sole) e altre di tipo individuale o ereditarie . Infatti in casi che vanno dal 5 al 10 per cento di melanoma si presenta in un contesto famigliare, cioè in persone che hanno parenti di I grado a loro volta colpiti dalla malattia.
Questo melanoma famigliare è stato studiato in diverse aree geografiche, e l’analisi dei casi ha portato a risultati differenti; il riesame di alcuni studi condotti alle diverse latitudini (quindi con condizioni ambientali differenti) ha mostrato che di norma le persone che hanno tra i loro consanguinei di primo grado almeno un caso di melanoma presentano un rischio 2,24 volte superiore Sono altresì state individuate anomalie genetiche che potrebbero essere alla base del melanoma famigliare, ma si tratta di una conoscenza che per ora ha ben poche ricadute per la cura o la diagnosi.
Le caratteristiche individuali che sembrano accompagnarsi più spesso al melanoma sono, oltre alla pelle chiara, i capelli rossi, la difficoltà ad abbronzarsi e la presenza sulla cute di nevi o lentiggini.
Recentemente gli studi si sono concentrati soprattutto sul rapporto tra la malattia e la presenza di nevi displasici, cioè nei anomali. Ultimo in ordine di tempo, uno studio statunitense ha definito come fattore di rischio centrale il numero di nevi displasici presenti sulla cute della persona.
Secondo alcuni studi in persone affette da melanoma non famigliare, comparate con un campione di persone sane, la presenza di un elevato numero di nevi normali può raddoppiare il rischio di melanoma. Molto più pesante, invece, è la presenza dei nevi displasici: ne basta uno per raddoppiare il rischio, mentre se sono 10 o più il rischio aumenta di 14 volte.
L’altro grande fattore di rischio, ambientale questa volta, è l’esposizione alla luce solare.
Attorno all’effetto delle radiazioni solari, e pèiù precisamente della loro componente ultravioletta (UVA e UVB), c’è stato molto clamore, ma anche qualche confusione. In primo luogo, esiste un nesso tra esposizione ai raggi solari e cancro della pelle, ma questo riguarda soprattutto tumori diversi dal melanoma. Per quest’ultimo oggi le principali istituzioni scientifiche, come il National Cancer Institute statunitense ritengono si possa affermare con certezza che sono le ustioni solari, soprattutto in età pediatrica, ad aumentare il rischio di sviluppare il tumore piuttosto che l’effetto di accumulo nel tempo dell’esposizione.
In effetti secondo alcuni studi recenti ,limitando l’esposizione ai raggi solari nel periodo dell’infanzia, si ridurrebbe il rischio di melanoma.

La diagnosi del melanoma

Indispensabile nella diagnosi del melanoma è l’esame obiettivo di tutte le lesioni pigmentate.
Esaminando la cute del paziente, il medico identifica una lesione cutanea sospetta.
Eventualmente ci si può affidare in caso di lesioni sospette al videodermatoscopio in epiluminescenza .
Se l’esito dell’esame è positivo, vale a dire se viene confermato il carattere maligno della lesione, si deve procedere alla biopsia della lesione per poter procedere all’esame istologico.
La diagnosi precoce del melanoma è fondamentale, come è stato confermato anche dall’ultima edizione del Codice Europeo contro il Cancro, in quanto tanto prima il melanoma viene curato, tanto maggiori sono le probabilità di sopravvivenza e guarigione. Per esempio, per le lesioni iniziali, fino a 1,5 mm di spessore massimo, la sopravvivenza a 5 dopo l’asportazione è del 92%, mentre per lesioni più progredite (di spessore superiore a 3,5 mm) il dato scende al 32 per cento.

DIAGNOSI PRECOCE DEL MELANOMA

Per ora non esistono servizi di screening di massa per la ricerca del melanoma cutaneo. L’auto-esame, cioè il controllo della cute alla ricerca di anomalie, è però abbastanza semplice ed efficace.
È sufficiente, quando si esamina la propria pelle, tenere presenti alcune regole banali ma efficacissime sintetizzate nel cosiddetto ABCD del melanoma.

Asimmetria

Le lesioni sospette non hanno una forma regolare, i contorni di una parte destra non seguono lo stesso andamento di quella opposta.

Bordi

Le lesioni sospette hanno bordi frastagliati, dentellati o comunque irregolari.

Colore
La colorazione non è uniforme, si notano zone più chiare o più scure: marroni, nere, brune o anche bianche.

Diametro

Deve insospettire qualsiasi cambiamento di dimensione. Anche se fino a non molto tempo fa non si riscontravano melanomi al disotto dei 6mm. Negli ultimi anni vi sono state diagnosi di melanoma anche sotto i 6mm.
Una particolare attenzione va posta a quelle zone della cute in cui le anomalie possono passare inosservate: per esempio il cuoio capelluto, o le unghie, dove è più difficile osservare e valutare cambiamenti di colore o forma delle macchie presenti sulla pelle.
Qualsiasi segno di anomalia deve consigliare il ricorso immediato al medico di famiglia o comunque allo specialista. Procedure come la biopsia o l’escissione della lesione non devono spaventare: asportare un neo normale per eccesso di prudenza può al massimo essere una perdita di tempo, ma non ha conseguenze di sorta al contrario operare tempestivamente un melanoma significa nella stragrande maggioranza dei casi guarire completamente dalla malattia.
Attualmente si distinguono quattro tipi principali di melanoma cutaneo:

I. Melanoma in situ o lentigo maligna

Appare sul volto o altre parti esposte al sole nei pazienti anziani. Non dà sintomi e il suo aspetto è quello di macchia larga da 2 a 6 cm, piatta, di colore bruno o marrone con chiazze più scure o più chiare del fondo. È confinata nell’epidermide, ma dopo un periodo variabile, circa un terzo dei melanomi in situ tende a invadere il derma.

II. Melanoma a diffusione superficiale

Rappresenta circa i due terzi di tutti i melanomi. Di norma non dà sintomi e inizialmente è molto più piccolo del melanoma in situ. Si presenta soprattutto sulle gambe, nelle donne, e sul tronco, negli uomini. La lesione normalmente si presenta di norma come una placca con bordi sollevati e induriti che, spesso, presenta punti rossi, bianchi e blu oppure piccoli noduli sporgenti di colore nero-bluastro.

III. Melanoma nodulare

Costituisce il 10-15 per cento di tutti i melanomi. Può presentarsi dovunque sul corpo e si manifesta sotto forma di papule scure o di placca il cui colore varia dal perla al grigio e al nero.
A meno che non sia ulcerato non dà sintomi, ma tende ad accrescersi rapidamente, più in profondità che in estensione.

IV. Melanoma acrale lentigginoso

È poco comune. Ha caratteristiche simili a quelle del melanoma in situ ma si presenta nella zona palmare, plantare e sublinguale. È la forma più comune di melanoma nelle popolazioni di pelle nera.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL MELANOMA

L’intervento chirurgico lo strumento più efficace nel trattamento dei pazienti affetti da melanoma: L’atto operatorio va sempre condotto secondo linee guida in grado di garantire la radicalità oncologica in modo di ridurre la ripresa di malattia localizzata nel punto dell’asportazione.
L’asportazione chirurgica viene di solito eseguita in anestesia locale in regime ambulatoriale.
L’approccio chirurgicodeve sempre essere orientato verso un escissione completa della lesione cutanea tenendosi almeno 2mm all’esterno di questa e arrivando in profondità al piano sottocutaneo.
Il pezzo asportato viene quindi inviato in anatomia patologica per l’esame definitivo.
Qualora sia posta diagnosi di melanoma va rivalutata la possibilità dell’escissione allargata a livello della sede della lesione che va da 0,5 mm. Minimo per i melanomi in situ, fino ai 2 cm per i melanomi con spessore maggiore di 4 mm.
In alcuni casi di lesioni estese e soprattutto in particolari aree anatomiche è importate valutare la possibilità di praticare dei lembi di scorrimenti per ricostruire le aree demolite.
BIOPSIA DEL LINFONODO SENTINELLA

Secondo i nuovi protocolli clinici tutti i pazienti che presentano un melanome con spessore >1mm secondo Breslow.
Per individuare il linfonodo sentinella si fa precedere alla fase bioptica se vi e certezza che la lesione sia un melanoma o nell’are della lesione asportata e diagnosticata come melanoma una iniezione di soluzione marcata radioattiva. Il presupposto sul quale si basa la tecnica è quello che quella particolare area anatomica che interessa la lesione, drena la linfa sempre e costantemente verso una stazione linfonodale, e in particolar modo in un linfonodo che verrà raggiunto per primo e per questo denominato “sentinella”.
Con la linfoscintigrafia ed una sonda munita di gamma camera si individua tale linfonodo e si procede alla sua asportazione ed invio all’anatomo patologo per la lettura istologica.
Qualora il linfonodo sia colpito da metastasi bisogna procedere alla linfectomia locoregionale con lettura istologica di tutti i linfonodi asportati.
Su tali linfonodi verranno fatti anche degli studi immunoistochimici in grado di dare all’oncologo informazioni utili per impostare eventuale chemioterapia o radioterapia.

La stadiazione del melanoma

La stadiazione è la determinazione del livello di gravità raggiunto dalla malattia. La gravità della lesione primitiva in sé viene determinata in base a due scale, lo spessore di Breslow e il livello di invasione di Clarck, che spesso vengono indicati assieme.
Per esempio, un melanoma può essere definito come “livello III, 1,5 mm di spessore”.; In base a questi due elementi, la prognosi dopo un adeguato intervento chirurgico, in linea generale, può essere riassunta così:

• Pazienti con melanomi di livello I, II o III con spessore inferiore a 1 millimetro hanno un’eccellente sopravvivenza a 5 e 10 anni. La possibilità di diffusione del male ai linfonodi o ad altri organi è rara, così come la possibilità di ricadute.

• Pazienti con melanomi di livello III e IV con spessore da 1 a 3,99 mm hanno un rischio intermedio di metastasi, soprattutto ai linfonodi regionali.

• Pazienti con melanomi di livello V o di spessore superiore a 4 millimetri- pur ancora trattabili - hanno un rischio elevato di metastasi e ricadute.

In pratica, è lo spessore il fattore più importante non soltanto per stabilire come dovrà operare il chirurgo successivamente alla biopsia, ma anche per valutare la probabilità che si siano verificate metastasi regionali o distanti. Quanto più sottile è la lesione, dunque, tanto più precoce è stata la diagnosi e tanto maggiori sono le probabilità di guarigione anche con un intervento chirurgico il meno invasivo possibile.
Più complessa e comprensiva la stadiazione clinica, che si basa sulla definizione del tumore primitivo (pT), della diffusione ai linfonodi locali (N) e delle metastasi a distanza (M), e prevede una suddivisione in 5 stadi (da 0 a IV).

Per maggiori informazioni

Prof. Massimo Vergine

Docente in Chirurgia Generale e Ricostruttiva

Dipartimento di Scienze Chirurgiche

Policlinico Umberto I-Roma

Ambularorio di Chirurgia Plastica

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