google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Bisogno di cibo compulsivo e psiche umana

La gola è quel desiderio d’appagamento immediato e compulsivo che affonda negli elementi più arcaici della psiche umana: il bisogno di cibo. Come tale, esso parla della condizione dell’essere umano, della sua eterna dipendenza, del suo vincolo originario e, di conseguenza, dell’umana fragilità. Ma se apparentemente il peccato di gola parla esclusivamente di elementi materiali, come il cibo e la sopravvivenza, in realtà esso è un’importante allegoria di tematiche esistenziali. Parlare di gola, infatti, conduce inevitabilmente alla radice dell’autostima, e diventa una verifica ed una riprova dell’accettazione di sé o dell’odio per se stessi. Il rapporto degli adulti con il cibo è il corrispettivo (e il risultato) del rapporto che quell’adulto ha avuto con il seno materno, prima fonte d’alimentazione, e quindi con la madre. Le più recenti scoperte di Neonatologia hanno dimostrato che l’allattamento al seno è un’esperienza psicologica profonda, incisiva e gratificante sia per la mamma che per il bambino, i cui effetti si imprimono profondamente nella psiche. Il rito dell’allattamento non è soltanto fonte di nutrimento ma soprattutto è il veicolo fondamentale della speciale relazione che si crea tra entrambi. Esso è composto non solo da latte, ma anche da sguardi intensi, da odori, da sensazioni forti e profonde: protezione, sicurezza, dolcezza. Una complessa alchimia, una sorta di proto-relazione che farà da calco per molte relazioni future. La suzione del latte è quindi il pattern simbolico del rifugio, del dono, dell’introdurre e della capacità di affidarsi totalmente. Ma è anche la fonte della speranza nella vita, della capacità di costruire certezze nella propria esistenza, la radice dell’ottimismo.

Si comprende quindi facilmente che il rapporto primigenio con il cibo svilupperà propaggini psicologiche nelle relazioni affettive e nelle relazioni di coppia e in generale condizionerà, nel bene e nel male, la propria visione del mondo. Per il neonato che affronta lo sgomento provocato dalle misteriose contrazioni della fame, il cibo rappresenta la salvezza, la pacificazione, la protezione di fronte all’abisso dell’angoscia. Il cibo diventa così, nelle migliori condizioni, il simbolo del Bene, il baluardo difensivo contro le orde del buio e della morte. Ma quale sarà il rapporto con l’introiezione quando l’allattamento non è perfettamente sincronizzato con le fasi della fame? Che cosa accade, per esempio, quando il seno è assente? Un seno assente, o irregolare e discontinuo, stabilisce una precisa modalità psicologica di privazione, infonde un senso di bassa autostima, di negazione e – più spesso di quello che si pensa – di vero e proprio rifiuto. E poiché il seno perfetto non esiste, è anche grazie a queste frustrazioni che l’individuo può costruire una più realistica immagine del mondo, evitando il rischio di idealizzare la relazione con l’Altro ed evitando il pericolo di rinchiudersi in una pretesa di soddisfacimento a tutti i costi. Pur tenendo conto di un’ampia variabilità individuale, una madre ‘sufficientemente buona’ – secondo le scoperte di D. Winnicott – rappresenta quel giusto mix tra gratificazione e frustrazione, il quale può aiutare il bambino ad essere realmente equilibrato.

Ma per giungere a riflettere sul peccato di Gola, parlando di cibo, è inevitabile soffermarci su altri due aspetti fondamentali: il tema del bisogno e il tema del controllo. Si tratta di due temi che vanno ben di là della cornice delle condotte alimentari, espandendosi nell’ambito del rapporto con se stessi, della gestione dei propri limiti, del rischio dell’ideale di perfezione assoluta, di un bisogno di certezze nella vita che spesso può diventare ossessivo. Quando la gestione del maternage (gestazione, parto, allattamento, ecc.) è stata complessa, instabile o difficile, l’adulto può sviluppare problematiche relative alle dipendenze e alle condotte alimentari. Alcune madri danno da mangiare al figlio ogni volta che vogliono manifestargli affetto oppure riempire vuoti emotivi (e assenze), consolidando l’idea che cibarsi, ingerire qualcosa per calmarsi, sia la soluzione alla tristezza o al senso di vuoto. Al contrario, in altri casi, il bambino può percepire un senso ambivalente di amore e di invadenza materna. In entrambi i casi, spesso l’obiettivo inconscio dell’adulto diventa quello di realizzare un controllo dei bisogni, ritenuti minacciosi, e di affermare la completa assenza di dipendenza. Il cibo – e in generale le condotte legate all’oralità (tabagismo, alcolismo, droga, ecc.) – rappresentano invece l’emblema della dipendenza, l’effige del bisogno e della fragilità umana.

Quando la dipendenza è ritenuta minacciosa, il bisogno di cibo va ossessivamente tenuto controllo, sviluppando condotte anoressiche oppure bulimiche (attraverso le privazioni, il vomiting, l’abuso di lassativi, diuretici, clisteri, ecc.). In entrambi i casi, l’alimentazione diviene un’area qualitativamente alterata e l’assunzione di un alimento assume significati simbolici e psicologici diversi, ma sempre legati all’inconscia illusione di gestire l’angoscia, il senso di vuoto, il bisogno compulsivo di controllo. In altre parole, il cibo – da fonte originaria di consolazione e rassicurazione – diventa un campo di battaglia epica e onnipotente.

I dati più recenti osservano in Europa e in Italia, non solo uno sviluppo esponenziale dell’obesità ma anche che anoressia e bulimia, che si pensava fossero esclusivamente riservate all'universo femminile, sono in continua crescita anche nella popolazione maschile. La stima è complessivamente di oltre cinque milioni di persone con disturbi delle condotte alimentari, mentre sarebbe in sovrappeso il 60.5% degli adulti italiani, obeso il 23.9%, e il 3.0% estremamente obeso. Anche se continua a prevalere una maggiore morbilità relativa alle donne, negli ultimi cinque anni, è duplicato il numero di uomini colpiti da anoressia e bulimia, fino a raggiungere una quota del 10% sul totale dei casi diagnosticati. A questi vanno poi aggiunti tutti i casi subclinici, che presentano crisi ancora non cronicizzate e tutti i casi invisibili perchè non rilevati e non diagnosticati. Sono un numero imprecisato di individui che non hanno ancora una piena consapevolezza del proprio problema, che lo percepiscono con vergogna e con un senso di umiliazione e fallimento personale.

Fino a pochi decenni fa, si considerava i disturbi delle condotte alimentari come il risultato casuale di un’indesiderata variazione di peso originata dalla probabile scarsa volontà dell’individuo nel controllo del cibo e alla ricerca di gratificazioni orali. Oggi si ha la certezza che i disturbi alimentari si sviluppano sempre in seguito ad un ampio ventaglio di vicende psicologiche. Come ad esempio un lutto, una separazione, l’ingresso nel mondo degli adulti, maltrattamenti, il cambiamento o la perdita del lavoro, ecc.. In generale tuttavia le cause sono sempre facilmente riconducibili alla rimozione della propria angoscia. L’angoscia in questi casi è infatti spesso originata proprio dalle minacce che tutte queste vicende possono causare al senso di identità personale. Un individuo che ha vissuto un maternage difficile può infatti sviluppare una falsa personalità, o Falso Sé. Questa falsa personalità può installarsi con l’aspetto di una maschera sociale di pseudo-indipendenza, un abito collettivamente accettabile fondato sul successo nel lavoro o nella scuola, su rapporti apparentemente integrati ed efficienti. Soltanto nei momenti di segreta intimità, nel privato, la maschera crolla e l’individuo in preda all’angoscia si abbandona alle pratiche di vomito procurato, ai clisteri, all’abuso di farmaci anoressizzanti. Dietro questa maschera infatti possono trovarsi facilmente sentimenti di bisogno, di dipendenza che appaiono inconfessabili insieme ad un senso di disprezzo per se stessi e per la natura ipocrita delle relazioni che si attribuiscono agli altri.

L’orgia alimentare e le pratiche di svuotamento coatto riconducono sul corpo quel vissuto intimo e psicologico di devastazione. Ma è anche un grido di aiuto incapace di essere verbalizzato, che talvolta l’adulto percepisce, ma non sempre comprende, accetta o elabora. Il percorso di cura non è quindi indirizzato all’appetito o ad una migliore gestione delle diete, ma è sempre di natura psicologica. Esso deve necessariamente attraversare quel cortocircuito emotivo fatto di paure, rabbia, preoccupazioni, senso di colpa e solitudine. L’intervento deve essere fondato sull’ascolto delle dinamiche familiari ed orientato a sciogliere i meccanismi non verbali di ricatto affettivo, colpevolizzanti e collusivi.

Quando poi il problema investe un adolescente, è importante che i genitori si sforzino di spostare il focus della loro attenzione dalla nutrizione, che inevitabilmente diventa un tema familiare ossessivo, alla reale sofferenza del figlio o della figlia. Sofferenza che, per un motivo o per l’altro, spesso rimane negata, rimossa e nascosta da un meccanismo di reciproca complicità tra figlio e genitore. L’intervento psicoterapeutico è quindi, prima di tutto, un processo di ricostruzione interiore e non un tampone occasionale di natura cognitiva o intellettuale. Esso deve concentrarsi sul fornire all’individuo gli strumenti per imparare a gestire da sé un controllo ragionevole sulla realtà esterna, che non sia ingenuo ma dall’altra neppure paranoico o compulsivo. La psicoterapia deve inoltre saper fornire le competenze per gestire concretamente e in modo autentico le crisi di vuoto, imparando ad inserirle in oscillazioni umorali del tutto fisiologiche. Ma oltre a sviluppare nuove abilità, questo percorso è infine soprattutto una ricerca di senso, di elaborazione del dolore che non sia esclusivamente legato alla cancellazione del sintomo. Ma che preveda anche l’elaborazione di un significato esistenziale di quell’angoscia e che per questo, sappia fornire reali strumenti per trasformare la propria visione del mondo, consentendo una migliore conoscenza di sé e del proprio universo.

Giampiero Ciappina di Solaris.it

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Carboidrati: Tipi, Funzioni e Digestione

Il nome scientifico di quelli che impropriamente chiamiamo "carboidrati" è glucidi. Si tratta di sostanze formate essenzialmente da carbonio ed acqua e contenuti principalmente negli alimenti di origine vegetale. Il valore energetico è abbastanza alto: i carboidrati infatti forniscono in media 4 Kcal per grammo (è il caso dell'amido, contenuto nei cereali) costituendo uno degli elementi più importanti della dieta umana. Vari sono i tipi di carboidrati, classificati in base alla loro struttura chimica. Abbiamo perciò i carboidrati semplici e complessi.

I VARI TIPI DI CARBOIDRATI

I glucidi semplici sono le sostanze che comunemente chiamiamo zuccheri e comprendono monosaccaridi e polisaccaridi. Dal punto di vista nutrizionale, i più importanti sono glucosio, galattosio e fruttosio. Esaminiamoli nel dettaglio.

I monosaccaridi

Glucosio - costituisce la forma in cui deve essere trasformato qualsiasi altro zucchero per poter essere utilizzato dall'organismo umano. Solo il 5% della totalità di carboidrati è rappresentato dal glucosio che circola nel sangue.
Galattosio - è contenuto nel latte ma non vi si trova in forma libera, bensì legato al glucosio.
Fruttosio - è molto abbondante nel miele e nella frutta. Viene metabolizzato dal fegato, che lo trasforma in glucosio.

I polisaccaridi

I polisaccaridi sono formati dall'unione di più monosaccaridi (da 10 unità fino alle migliaia) mediante legami glicosidici. Hanno origine animale (glicogeno) o origine vegetale (amidi e fibre). Analizziamone i più importanti.
Fibre - la più importante è la cellulosa. Il nostro organismo non può trasformarle direttamente in energia ma le fibre sono fondamentali per il nostro benessere poiché regolano l'assorbimento dei nutrienti e difendono l'organismo da diverse patologie. Le fibre sono divisibili in fibre idrosolubili (quando possono essere disciolte in acqua) e non idrosolubili. Le prime riducono la quantità di colesterolo nel sangue, mentre le seconde richiamano liquidi, favorendo l'eliminazione di sostanze dannose.
Glicogeno - è immagazzinato nel fegato e nei muscoli in quanto riserva d'energia. È però presente in quantità molto ridotta negli alimenti, poiché viene quasi totalmente degradato nelle fasi di macellazione degli animali.
Amido - contenuto nei vegetali (principalmente semi e cereali) e nei loro derivati (come la pasta) ma si trova anche in patate dolci, piselli e fagioli. È possibile trovarlo in natura in due forme distinte: amilosio e amilopectina, la quale rende estremamente digeribili gli alimenti.

FUNZIONE DEI CARBOIDRATI

La funzione precipua dei carboidrati è quella energetica. Essi rappresentano infatti la principale fonte energetica, in particolar modo quando sottoponiamo il nostro organismo ad un intenso sforzo fisico. Tuttavia, assolutamente da non trascurare è la loro funzione plastica nella formazione di strutture nervose e acidi nucleici. Una volta trasformati in glucosio, i carboidrati possono prendere tre strade:
Possono essere utilizzati direttamente dalle cellule al fine di produrre energia.
Possono essere trasformati in glicogeno e immagazzinati come riserva energetica in muscoli e nelle riserve epatiche.
Possono essere trasformati in grasso e depositati come tale, se le scorte di glicogeno sono sature.
Qualsiasi componente del nostro organismo necessita di una certa quantità di glucosio. È facile pertanto dedurne l'importanza che i carboidrati svolgono per il benessere del corpo. Persino alcune cellule del sangue utilizzano glucosio come fonte energetica primaria.

ECCESSO DI CARBOIDRATI

Abbiamo visto quanto sia importante assumere regolarmente una certa quantità giornaliera di carboidrati. Ma cosa accade quando tali sostanze sono in eccesso? La dieta dei paesi industrializzati risulta sempre più ricca di grassi (basti pensare alla grande diffusione dei fast food in quasi tutti i Paesi del mondo). Una dieta troppo ricca di grassi può provocare patologie come diabete, carie dentale o persino obesità in forme più o meno gravi.

CARENZA DI CARBOIDRATI

Ma anche una scarsa assunzione di carboidrati è causa di patologie gravi. Recenti studi hanno dimostrato che alla base di varie forme tumorali c'è anche una scarsa assunzione di carboidrati. Lo stesso vale per alcuni casi di ipercolesterolemia, di malattie renali e epatiche. Nei casi più gravi, l'assenza di carboidrati porta il sangue ad acidificarsi (come avviene nel diabetico non curato), cui consegue il coma. Ecco perché è estremamente importante seguire una dieta equilibrata, che preveda un'assunzione bilanciata di carboidrati.

IL PROCESSO DI DIGESTIONE DEI CARBOIDRATI

Il processo di assimilazione dei carboidrati inizia nella bocca, dove diversi enzimi presenti nella saluta inizia a scindere i carboidrati complessi. La digestione prosegue nello stomaco e nel pancreas, ove i succhi pancreatici riducono i polisaccaridi in monosaccaridi.


Dermatologia: Il trattamento dei cheloidi

I cheloidi sono cicatrici abnormi che possono far seguito a un trauma cutaneo, come piercing, ferite chirurgiche, lesioni acneiche e ustioni. Di questa patologia vi sono ampie descrizioni già nei papiri egiziani, ma il termine “cheloide” (dal greco = simile alle chele del granchio) fu coniato nel 1806 dal dermatologo francese Jean Louis Alibert. Inizialmente il cheloide si presenta come una normale cicatrice, ma in seguito si rileva e si estende, superando i limiti della lesione iniziale. Questa patologia è causata da un’eccessiva proliferazione di fibroblasti nel derma profondo, con produzione di grosse quantità di collagene, che gli conferiscono una consistenza dura.
I cheloidi presentano una superficie liscia, traslucida e priva di peli. Nella fase iniziale sono molto vascolarizzati (colorito rosso intenso), poi diventano rosa pallido. Le forme più frequenti in dermatologia, sono quelli da piercing all'orecchio, quelli che fanno seguito al parto chirurgico (taglio cesareo) e quelli sovrasternali multipli, spesso causati da manifestazioni acneiche localizzate in queste aree (cheloidosi).
Una variante rara è l'acne cheloidea della nuca, nella quale le normali pustole dell'acne causano in questa zona dei cheloidi più o meno grandi. Alcune persone hanno una naturale predisposizione a sviluppare cheloidi dopo un intervento chirurgico (es: tiroide, mammella, etc) e questo non dipende dal medico o dalla qualità dell'intervento, ma dal tipo di pelle. Ciò si verifica perché il trauma cutaneo induce in quel soggetto predisposto, una cicatrizzazione abnorme.
L'asportazione di tale lesione, con buona probabilità indurrebbe un nuovo trauma, innescando un nuovo ed abnorme processo cicatriziale, con formazione di un cheloide più grande di prima. Per questo motivo la gestione del paziente affetto da cheloidi è prevalentemente di tipo conservativo. Il medico presuntuoso che attribuisce il cheloide alle errate tecniche chirurgiche utilizzate dal suo predecessore spesso produce con un nuovo intervento un cheloide più grande di prima.
L'impatto estetico e soprattutto psicologico del paziente è enorme, davanti ai risultati deludenti della maggior parte dei trattamenti disponibili. Non vi sono al momento tecniche in grado di “cancellare” per sempre i cheloidi, ma ciò nonostante vi è la possibilità, sotto la guida del proprio dermatologo di migliorarne l'aspetto (es: riduzione del volume, appiattimento e schiarimento della lesione e raramente anche scomparsa della placca).
E' più facile ottenere un miglioramento su un cheloide di recente insorgenza piuttosto che su uno di vecchia data. Tra le tecniche utilizzate vi sono la crioterapia con azoto liquido e l'applicazione domiciliare di lamine autoadesive di poliuretano. Il Dermatologo al momento della visita può suggerire a seconda dei casi l'applicazione di prodotti specifici (es: creme a base di allantoina, cerotti medicati al cortisone, spray, medicazioni e gel di silicone).
Le infiltrazioni intralesionali di triamcinolone praticate dal dermatologo con la tecnica della microtunnelizzazione, possono talora ridurre le dimensioni del cheloide, soprattutto se precedute da crioterapia. L'impiego di farmaci topici come tacrolimus, pimecrolimus, ginpent e imiquimod è ancora in fase sperimentale. La luce pulsata a 560 nm, può avere un'azione solo sulla componente vascolare (parziale schiarimento della placca). La semplice asportazione chirurgica può essere seguita invece da recidive di maggiori dimensioni e sono allo studio protocolli che fanno seguire al trattamento ablativo, la radioterapia. Rischi, benefici ed alternative ad ogni trattamento vanno chiariti con il proprio medico al momento della visita specialistica.

a cura del Dott. Antonio Del Sorbo

Medico Chirurgo - Specialista in Dermatologia e Venereologia
Sito web: http://www.ildermatologorisponde.it/

Il rischio dell'esposizione ai campi elettromagnetici sui luoghi di lavoro

In data 19 novembre 2007 il legislatore italiano ha recepito la direttiva CE 2004/40 per mezzo del D.Lgs n. 257 “Attuazione della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)”. Le disposizioni che esso prescrive entrano in vigore il 30 aprile 2008.
Il D.Lgs 257/07, com’è prassi per i provvedimenti che disciplinano specifici rischi sui luoghi di lavoro, rappresenta in realtà un’integrazione al D.Lgs 626/94, introducendovi il titolo V-ter "Protezione da agenti fisici: campi elettromagnetici".

SOGLIE DI ESPOSIZIONE

Il campo elettromagnetico cui può risultare esposta una persona risulta comunemente composto da differenti contributi, distinti in frequenza e di intensità differente. In virtù di questo aspetto fisico, la comunità scientifica, per voce di ICNIRP (International Commission on Non Ionising Radiation Protection), ha pronunciato il proprio parere nel documento “Linee guida per la limitazione dell’esposizione a campi elettrici e magnetici variabili nel tempo ed a campi elettromagnetici (fino a 300 Ghz)”, dove fissa il limite di esposizione umana ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, proponendo una suddivisione dello spettro elettromagnetico in numerose bande di frequenza, all’interno delle quali il valore limite è fissato secondo diversi criteri; in alcuni casi è costante per ogni frequenza compresa nella banda, in altri cambia al variare della frequenza secondo una determinata legge.
A livello di Unione Europea il legislatore, con la direttiva 2004/40/CE "Direttiva sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)", ha recepito la stessa suddivisione in bande proposta dalla comunità scientifica.
Il Legislatore italiano ha recepito la direttiva europea in data 19 novembre 2007, all’interno del provvedimento oggetto di questi commenti, il D.Lgs n. 257/07, senza modificare la suddivisione in bande originale.
I risultati di un monitoraggio strumentale dei livelli di esposizione dei lavoratori sono da confrontare con la tabella dei “valori di azione”.
I valori di azione sono definiti al comma 2 dell’art. 49-quindecies e rappresentano l’entità dei parametri direttamente misurabili, espressi in termini di intensità di campo elettrico (E), intensità di campo magnetico (H), induzione magnetica (B) e densità di potenza (S). Il superamento dei valori di azione determina l’obbligo di adottare una o più delle misure specificate nel provvedimento.
In CeSNIR riteniamo pertanto che la valutazione dell’esposizione professionale a campi elettromagnetici debba prevedere una prima fase di individuazione delle sorgenti potenzialmente in grado di emettere contributi al campo elettromagnetico di intensità non trascurabile per l’esposizione umana; una seconda fase volta a determinare le bande di frequenza all’interno delle quali sono attesi i contributi di cui sopra; un terzo momento dove, sulla base delle valutazioni precedenti, si opera la scelta della strumentazione più idonea per discriminare i distinti contributi in frequenza durante la misurazione dei livelli di esposizione.
Allo scopo di determinare l’esposizione complessiva a partire da quella misurata a frequenze diverse, ci si troverà, infine, a dover procedere con una corposa post-analisi dei dati raccolti.
Misurazioni ed analisi dati devono essere condotte secondo le norme di buona tecnica che si identificano nelle:

* CEI 211-6 “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettrici e magnetici nell’intervallo di frequenza 0 Hz – 10 kHz, con riferimento all’esposizione umana”.

* CEI 211-7 “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettromagnetici nell’intervallo di frequenza 10 kHz – 300 kHz, con riferimento all’esposizione umana”.

CeSNIR illustra come ha scelto di organizzare il proprio servizio di monitoraggio sul proprio sito Internet (www.cesnir.com) alla sezione "Campi EM" del menù "Luoghi di lavoro".

In merito alla periodicità delle revisioni della valutazioni, il decreto impone che la valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici sia programmata ed effettuata con cadenza almeno quinquennale e questa rappresenta l’unica novità rispetto alla direttiva europea ,che prescrive semplicemente che le valutazioni siano cadenzate ad "intervalli idonei". CeSNIR, in considerazione della veloce evoluzione delle conoscenze in ambito tecnico, medico e scientifico, consiglia che, laddove siano stati riscontrati livelli di esposizione "importanti" ancorché inferiori ai "valori di azione", la valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici sia ripetuta ogni 3 anni, nell’ottica di una politica della sicurezza che si spinga oltre la mera verifica del rispetto delle prescrizioni minime di legge. Fatta salva, ovviamente, la necessità di provvedervi prima nei casi come quelli di importanti modificazioni del parco macchine, del loro layout e/o delle procedure di lavoro, e tali da far supporre che i livelli di esposizione dei lavoratori siano potuti cambiare in modo rilevante.

LA CLASSIFICAZIONE E LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Il D.Lgs 257/07, introduce l’obbligo per il datore di lavoro di determinare/calcolare e valutare i vari rischi derivanti dall’esposizione a campi elettromagnetici, con la precisazione che i risultati di tale attività di valutazione sono parte integrante del Documento di Valutazione dei Rischi.

L’informazione e la formazione per i lavoratori, inoltre, dovranno essere specifiche e riguardare, in modo particolare, le misure di sicurezza adottate ed il significato dei rischi associati alla esposizione ai campi elettromagnetici. Dovrà essere garantita, infine, una adeguata sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti (art. 14 dir. 391/89/CEE).

Si osservi che il D.Lgs 257/07 riguarda i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti nocivi a breve termine conosciuti nel corpo umano derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici; all’interno dello stesso provvedimento è sottolineato che esso non riguarda gli effetti a lungo termine, inclusi eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo, per i quali il legislatore ritiene che manchino dati scientifici conclusivi che comprovino un nesso di causalità.

La valutazione del rischio da esposizione ai campi elettromagnetici deve fondarsi innanzitutto su una sua corretta classificazione e su questo aspetto CeSNIR si augura che si giunga quanto prima ad un’idea largamente condivisa. A questo scopo richiamiamo i concetti di rischio generico, rischio generico aggravato e rischio specifico come li definisce la medicina legale (cfr. “Medicina legale e delle assicurazioni”, di Giorgio Canuto, Sergio Tovo, 1996, PICCIN).
- Il rischio generico si riferisce a quelle eventualità che incombono in egual grado su tutti i cittadini.
- Il rischio generico aggravato quando, pur potendo investire tutti i cittadini, è quantitativamente più elevato nell’espletamento di una determinata attività.
- Il rischio specifico è strettamente legato ad una specifica attività e solo i soggetti che svolgono tale attività ne sono esposti.
- Il rischio professionale, per essere tale, deve essere un rischio specifico o un rischio generico aggravato, non essendo sufficiente la semplice esposizione ad un rischio generico per configurare il rischio professionale.

Si profila quindi, senza dubbio, un rischio di tipo generico per i lavoratori che utilizzano macchine assimilabili ad un tipico elettrodomestico, come computer e fotocopiatrici, o nei casi in cui il luogo di lavoro si trova in prossimità di antenne per le telecomunicazioni (radiodiffusione sonora, televisiva e telefonia mobile) o di elettrodotti.
Si configura un rischio specifico per i lavoratori che si occupano della manutenzione delle antenne, delle linee elettriche, i saldatori e le altre mansioni di cui all’elenco più sotto.
In CeSNIR riteniamo invece più controversa e soggetta a specifica valutazione della fattispecie in esame l’individuazione dei lavoratori soggetti a rischio generico aggravato. A nostro avviso, tale incertezza si applica, ad esempio, all’esposizione al campo magnetico prodotto dalla cabina di trasformazione MT/BT (media/bassa tensione) a servizio dell’azienda cui presta la propria opera il lavoratore.

CLASSIFICAZIONE DELLE SORGENTI

Le sorgenti di campo elettromagnetico sono usualmente identificate in due tipi: sorgenti di tipo intenzionale e di tipo non intenzionale. Le prime sono quelle per cui l’irradiazione del campo elettromagnetico è funzionale all’attività che l’apparato deve svolgere; le seconde sono invece tutte le sorgenti che emettono campo elettromagnetico nell’ambiente come effetto secondario del proprio funzionamento.
Fra le sorgenti di tipo intenzionale si citano innanzitutto i sistemi per le trasmissioni via aria; fra quelle di tipo non intenzionale troviamo in primo luogo la totalità degli apparati che impiegano l’energia elettrica e che sono caratterizzati da assorbimenti importanti di potenza.
In ambito industriale e medicale esistono inoltre una serie di apparati che agiscono tramite l’irradiazione di un campo elettromagnetico e si tratta, ad esempio di: riscaldatori a induzione e a radiofrequenza, forni a microonde, macchine per terapia a onde corte o a microonde, apparati per la risonanza magnetica nucleare. Il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) annovera anche questo tipo di sorgenti fra quelle non intenzionali, dal momento che l’irradiazione del campo elettromagnetico nell’ambiente non è funzionale al loro scopo, per il quale serve invece irradiare un preciso bersaglio con la minima dispersione possibile. La valutazione di CeSNIR è che queste sorgenti si debbano distinguere anche dagli apparati che emettono campo elettromagnetico solo come conseguenza dell’energia che assorbono per mezzo della corrente elettrica e che non sono dotati di un irradiatore di campo elettromagnetico vero e proprio. A titolo di esempio si consideri che sia un forno elettrico a resistenza che uno a microonde possono essere considerati irradiatori non intenzionali, non essendo funzionale a nessuno dei due apparecchi l’immissione di campo elettromagnetico nell’ambiente, ma è da sottolineare che, mentre entrambi producono un campo elettromagnetico alla frequenza di rete in virtù dell’energia elettrica che consumano, solo il secondo emette anche un campo elettromagnetico a radiofrequenza quale dispersione del fascio che produce per cuocere i cibi. Vi è qundi una marcata differenza tra questi due tipi di sorgente.

In CeSNIR abbiamo stilato un primo elenco delle sorgenti di campo elettromagnetico che, a livello industriale e medicale, sono da monitorare ed è il seguente.

* Sorgenti che impiegano l’irradiazione elettromagnetica in modo funzionale alla propria attività e che espongono gli addetti a un rischio di tipo specifico o generico aggravato

APPLICAZIONI INDUSTRIALI

- saldatrici ad arco o ad alta frequenza;

- forni a induzione per la fusione dei metalli;

- sistemi a induzione per la tempra dei metalli;

- sistemi a radiofrequenza per l’innesco dei plasmi;

- presse a dispersione dielettrica per l’incollaggio dei legni e delle plastiche;

- sistemi a radiofrequenza per l’indurimento delle colle;

- altri sistemi a dispersione dielettrica per l’essiccazione o la vulcanizzazione di tessuti, carta, legni;

- forni a microonde per la sterilizzazione o la cottura di alimenti;

- sistemi a microonde per il riscaldamenti dei plasmi;

- impiantistica delle telecomunicazioni e della telefonia cellulare.

APPLICAZIONI DEL SETTORE MEDICALE

- marconiterapia (diatermia);

- ipertermia;

- NMR (risonanza magnetica nucleare);

- chirurgia con elettrobisturi ed elettrocauterizzatori.

* Sorgenti che irradiano campo elettromagnetico come effetto secondario della propria attività e che espongono pertanto gli addetti a un rischio di tipo generico o generico aggravato:

- cabine di trasformazione MT/BT (media/bassa tensione);

- dispositivi in genere ad alto assorbimento di energia elettrica;

- forni elettrici per fusione di metalli e cottura ceramiche.



Nuove e promettenti cure per il linfoma non-Hodgkin

Il mercato europeo per le cure del linfoma non-Hodgkin (NHL) e’ stato monopolizzato per molti anni da MabThera. E sebbene la chemioterapia CHOP e’ la principale forma di trattamento per tutte le forme di NHL, questo mercato e’ fatto principalmente di medicinali generici con scarse prospettive di sostanziali ricavi. Questi scenari sono, pero’, destinati a cambiare nel prossimo futuro con il lancio di nuove promettenti cure che sono attualmente nella fase 3 di sviluppo.
Una nuova indagine di Frost & Sullivan (http://www.pharma.frost.com/), European Non-Hodgkin's Lymphoma Therapeutics Markets, ha messo in luce che questo mercato che crescera’ dai 2.2 miliardi di dollari del 2006 a 7.2 miliardi di dollari nel 2013.

“La natura recidiva del linfoma non-Hodgkin e’ alla base di queste nuove ricerche terapeutiche - fa presente l’analista di Frost & Sullivan Ranjith Gopinathan -. MabThera e’ tuttora molto popolare e prevalente, ma c’e’ anche una domanda da parte dei pazienti che MabThera non e’ riuscita a sopperire”.
Sono circa 1.75 milioni le persone al mondo affette da questa forma tumorale che si sta diffondendo sempre di piu’. Basti pensare che, soltanto in Italia, ogni anno si registrano 12 mila nuovi casi. Se il rischio di sviluppare questa patologia cresce con l’eta’, e’ anche vero che le crescenti aspettative di vita in Europa stanno portando ad una maggiore richiesta di cure.
MabThera continuera’ ad essere il farmaco leader per i prossimi 5-6 anni. I farmaci di nuova generazione che sono al momento in fase di sviluppo sono posizionati come farmaci aggiuntivi alla terapia basata su MabThera o CHOP. Il mercato e’ pronto ad accelerare dal 2012, spinto dal lancio di nuove e promettenti cure, oggi nella fase 3 di ricerca.
“Farmaci aggiuntivi, in combinazione con MabThera o la chemioterapia, saranno un fattore di spinta del mercato - dice Gopinathan -. Favrille, per esempio, si aspetta che Favid sara’ un grande successo, una volta che sara’ approvato per la commercializzazione”.

Molte aziende biotecnologiche stanno fronteggiando, pero’, delle sostanziali perdite. E’ importante, inoltre, sottolineare, che gli stretti controlli clinici e normativi potrebbero limitare fortemente i potenziali ricavi delle biotecnologie. Per queste aziende, possibili complicazioni potrebbero derivare dalla difficolta’ nel reperire nuove risorse finanziare che coprano i costi addizionali di nuovi test clinici. Tutto questo finirebbe con l’avere un impatto sul processo di sviluppo e in sostanza ritardare la commercializzazione.
Aziende come Favrille e Genitope stanno affrontanto maggiori costi operativi a causa degli investimenti in ricerca e sviluppo. La presenza di nuovi controlli normativi potrebbe mettere in serio dubbio la sostenibilita’ del business di queste aziende.
Sembra, inoltre, che la maggior parte degli oncologi siano soddisfatti con il MabThera e potrebbero cosi’ decidere che nuove terapie non siano necessarie. E’ per questa ragione che la commercializzazione di farmaci aggiuntivi al MabThera e CHOP potrebbe essere una formula piu’ accettabile agli oncologi e ai pazienti.
“Le grandi societa’ farmaceutiche dovrebbero puntare ad allenze strategiche o all’acquisizione di farmaci ancora in fase di sviluppo, ma con un futuro promettente - consiglia Gopinathan -. Le piccole aziende biotecnologiche dovrebbero, invece, prestare attenzione alla ricerca e allo sviluppo di alleanze commerciali con un partner appropriato”.
European Non-Hodgkin's Lymphoma Therapeutics Markets fa parte del Pharmaceutical & Biotechnology Growth Partnership Programme, che include anche ricerche di mercato nelle seguenti aree: Il mercato europeo delle terapie dell’incontinenza urinaria; il mercato europeo delle terapie per l’endometriosi; Opportunita’ per i produttori di farmaci equivalenti: la perdita del brevetto nei farmaci griffati; Il mercato europeo dell’ Osteoartrite; Il mercato europeo delle terapie del tumore della testa e del collo: Il mercato europeo delle terapie del cancro al seno. La ricerca inclusa nei servizi di sottoscrizione offre dettagliate opportunita’ di mercato e tendenze d’industria, risultato di estesi colloqui con gli operatori di mercato.

Se siete interessati a un opuscolo elettronico gratuito che possa fornire ai produttori, agli utenti finali e agli altri partecipanti del processo industriale una panoramica secondo l’ultima analisi degli European Non-Hodgkin's Lymphoma Therapeutics Markets, inviate una mail a Chiara Carella, della Corporate Communications al seguente indirizzo chiara.carella@frost.com contenente le seguenti informazioni: il vostro nome, il nome della vostra società , la ragione sociale, il numero di telefono, il numero di fax, il vostro indirizzo e-mail; indicate, inoltre, come siete venuti a conoscenza dell’opuscolo. Dopo aver inviato queste informazioni, riceverete il prospetto informativo via e-mail.

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Le Infezioni ospedaliere

In un minuto ogni persona in sala operatoria disperde nell‘ambiente circa 1000 batteri tramite la respirazione, i movimenti e la traspirazione. Di conseguenza la carica batterica in sala operatoria aumenta proporzionalmente al numero delle persone presenti ed alla durata dell‘intervento.
In circostanze normali sono necessari 100.000 batteri per provocare un’ infezione chirurgica clinicamente significativa; in situazioni particolari, quando si procede ad interventi chirurgici in pazienti immunodepressi, defedati, anziani, prematuri o in caso di chirurgia protesica, sono sufficienti 100 batteri per sviluppare un processo infettivo o per avere un rigetto.

TOUL FLUSSO LAMINARE

Per affrontare l’aumento delle infezioni ospedaliere e dell’inefficacia della terapia antibiotica verso tutti quei microrganismi multiresistenti è stato creato TOUL, un sistema mobile di flusso d’aria laminare ultrapulita. Al contrario dei sistemi d’aerazione tradizionale, Toul agisce direttamente sul campo operatorio e sul tavolo degli strumenti senza essere ostacolato dalla testa del chirurgo o dalle lampade scialitiche, riducendo fino a 95% la carica batterica sul sito chirurgico e sul tavolo porta ferri senza interferire con il sistema di ventilazione esistente.
La maggior parte delle infezioni della ferita chirurgica viene acquisita durante l’intervento: se una ferita è pulita e asciutta, infatti, nell’arco di poche ore dall’intervento non è più suscettibile all’aggressione da parte di microrganismi. I microrganismi patogeni responsabili di I.O. sono nel 70% dei casi resistenti a uno o più antibiotici! Le infezioni ospedaliere si manifestano con alti tassi di MORBOSITA’ ed incremento della MORTALITA’, contribuendo anche all’aumento dei COSTI di degenza, dei pazienti ospedalizzati. Nonostante la riduzione della durata e del numero dei ricoveri, la frequenza delle infezioni ospedaliere non è generalmente in declino.
Toul tavolo portaferri mantiene la sterilità degli strumenti
Gli strumenti chirurgici sono esposti ai microrganismi senza nessuna protezione: la maggior parte di essi perde la sterilità poco dopo l’inizio dell’intervento. Toul portaferri mantiene la sterilità dei ferri indipendentemente dalla durata dell’ intervento e dalle persone presenti in sala operatoria poichè investito da un flusso d'aria sterile.

Drastica riduzione delle infezioni post-operatorie

In Svezia utilizzano Toul flusso mobile laminare da diversi anni e sono riusciti a ridurre il tasso di infezione postoperatorio sotto lo 0,5%, con un notevole risparmio per l’ospedale. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il tasso di infezioni ospedaliere varia da 5 a 10%.

Cos'è la Dermatologia Omeopatica

La maggior parte dei rimedi farmacologici oggi utilizzati, sono stati introdotti in commercio solamente negli ultimi 50 anni. I medici del passato ricorrevano invece a rimedi naturali (es: estratti di erbe) in quanto la natura dispone di un numero di principi attivi superiore a quello di qualsiasi prontuario farmaceutico.
Nei secoli gli animali hanno imparato da soli a riconoscere le cosiddette “erbe mediche” per difendersi dalle epidemie. Secondo le Sacre Scritture, Dio avrebbe impresso in ogni pianta medicamentosa un “segno di riconoscimento” tale da essere prontamente individuato dagli animali, uomo compreso.
Quest’ultimo però ha imparato nei secoli a isolare dalla natura alcuni principi attivi e a riprodurli sinteticamente in laboratorio, fino a creare alla fine del XX secolo una vera e propria industria mondiale della salute. La ricerca e lo studio di farmaci e malattie, hanno portato ad un crescente allungamento della vita media, forse anche merito della profilassi e di un miglior tenore di vita.
Se sfogliamo un trattato di Dermatologia di appena 60 anni fa osserviamo che per curare le malattie della pelle, il medico ricorreva a rimedi facilmente reperibili in natura (es: decotti di erbe, tintura madre, impacchi e unguenti vegetali). Nel 1953 fu distribuito per la prima volta il “cortisone” in crema riducendo l’enorme prontuario del dermatologo ad un'unica e generica arma farmacologica utile a “reprimere” un pò tutte le dermatosi. Alcune di queste patologie (es: l’herpes simplex nella foto) peggiorano dopo applicazione di cortisone.
L’omeopatia è un approccio terapeutico descritto alla fine del XVIII secolo dal medico tedesco Hahnemann. Essa si basa sull’uso di piccolissime quantità di composti naturali, diluiti in acqua o in alcol. Le metodiche omeopatiche agiscono secondo la “legge dei simili”, grazie alla quale ogni sostanza, opportunamente diluita e dinamizzata, sarebbe in grado di guarire sintomi analoghi a quelli che può causare nell’organismo sano. L’uso di rimedi ad azione simile ai sintomi presentati dal paziente, permetterebbe di rafforzarne le capacità reattive (es: stimolando le difese immunitarie).
La medicina convenzionale agisce contrastando i sintomi della malattia, reprimendo talora anche alcune difese naturali dell’organismo. Secondo l’omeopatia sintomi spiacevoli come febbre, tosse e infiammazione funzionerebbero come naturali meccanismi di difesa e non sempre andrebbero soppressi. Infatti i rimedi omeopatici mirano a favorire le reazioni dell’organismo, stimolandone i processi difensivi.
La medicina ayurvedica (da “ayur” = vita e “veda” = scienza) è la medicina più antica al mondo e la più diffusa dopo quella occidentale. In India ci si accede tramite il servizio sanitario nazionale. A differenza della medicina cosiddetta convenzionale che considera separatamente gli organi del corpo umano, affidandoli ciascuno ad un medico specialista, l’ayurveda considera l’uomo come unica entità facente inoltre parte dell’intero universo. Il medico ayurvedico si occupa della cura dell’intero organismo e non del singolo organo, mantenendo la vita umana al più alto livello sia fisico che spirituale. I rimedi ayurvedici comprendono oltre alla medicina naturale (es: estratti di erbe), anche regimi alimentari equilibrati, massaggi con oli, esercizi yoga e meditazione.
L’obiettivo primario di queste discipline olistiche (hòlos = tutto intero) non è quello di guarire dalle malattie, ma quello di promuovere il benessere fisico, mentale e spirituale, presupposto essenziale non solo per i malati ma anche e soprattutto per le persone sane (psico-immuno-dermatologia).
In futuro sarebbe auspicabile un approccio più olistico alla medicina convenzionale, alla luce delle moderne conoscenze, per non dover più parlare separatamente di “medicina convenzionale” e di “medicina alternativa”, ma di una medicina unica e integrata.

A cura del Dott. Antonio Del Sorbo – Specialista in Dermatologia e Venereologia
Sito web: http://www.ildermatologorisponde.it/

La liposuzione con la Laserlisi

In Italia, la liposuzione è al secondo posto tra gli interventi di chirurgia plastica più praticati dopo l'aumento del seno. Secondo le stime della Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica (Sicpre), sono 60mila le persone che, ogni anno, ricorrono al bisturi per farsi aspirare il grasso in eccesso. Dimagrire senza bisturi resta però il sogno della gran parte delle donne, che cercano un modo per eliminare centimetri e cuscinetti senza dover affrontare dolorosi interventi e lunghe convalescenze. La soluzione si chiama laserlisi o laserlipolisi ed è una tecnica che si è affacciata sul mercato un paio di anni fa riscuotendo un enorme successo; perché è semplice, veloce, non lascia tracce e -dettaglio non da poco- costa molto meno di una liposuzione.
«La laserlisi -dice Patrizia Gilardino, chirurgo plastico milanese, socio del Sicpre- si potrebbe definire la liposuzione della pausa pranzo. Si esegue con una semplice seduta ambulatoriale. I risultati in termini di centimetri sono simili a quelli della liposuzione, ma i vantaggi sono numerosi: procura meno lividi ed edemi, è più veloce, è sufficiente solo l'anestesia locale. Anche il decorso post-operatorio è più soft: non serve usare la guaina compressiva, ma bastano delle calze elastiche da portare per un paio di settimane dopo l'intervento. La laserlisi inoltre può essere effettuata in zone off limits alla liposuzione come interno braccia, interno cosce, ginocchia, doppio mento, pancia».
La tecnica è stata introdotta nel 2005: gli studi clinici eseguiti in questi anni ne hanno confermato i vantaggi; tanto che negli Stati Uniti la laserlisi ha ottenuto l'approvazione della rigorosa "Food and drug administration". Il costo dell'operazione varia dai mille ai duemila euro, contro i 4-6mila della liposuzione. In media è sufficiente una sola seduta; nei casi più particolari due, al massimo tre.
Come funziona. La laserlisi distrugge i cuscinetti di grasso al pari della liposuzione, ma con un'azione più dolce e sicura. «Si tratta di una tecnica ambulatoriale in grado di eliminare il grasso superfluo mediante l'utilizzo di energia laser: scalda la pelle dall'interno e "scoppia" il grasso -dice la Gilardino-. L'intervento si esegue in anestesia locale utilizzando una fibra ottica del diametro di un terzo di millimetro, che è introdotta nel cuscinetto adiposo con uno speciale ago. La fibra ottica è collegata ad un laser che lisa le cellule adipose, che poi vengono riassorbite». Il metodo è atraumatico e solitamente non si formano lividi ed ecchimosi, che accompagnano invece la liposuzione. Una seduta dura, in media, 40 minuti: il paziente può lasciare l'ambulatorio subito dopo e non è necessario sospendere l'attività lavorativa. Per un paio di settimane dopo l'intervento è necessario tenere in compressione l'area trattata, in modo da armonizzare il risultato (un collant per le donne, una pancera elastica per i pazienti di sesso maschile).

Patrizia Gilardino - Profilo professionale. Laureata in Medicina e Chirurgia all'Università degli Studi di Milano nel 1988, Patrizia Gilardino si è specializzata nella Scuola di Chirurgia Plastica Ricostruttiva dell'Università degli Studi di Milano nel 1993. Iscritta all'Ordine dei Medici di Milano dal 1989, ha lavorato fino al 2003 all'Unità Funzionale di Chirurgia Plastica dell'Ospedale Multimedica di Sesto San Giovanni. Esercita la libera professione in diverse strutture milanese: Poliambulatorio della Guardia di Finanza di Milano, Centro Dermatologico Europeo e nel proprio studio di via Colonna, a Milano. È membro della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, della Società di verifica e controllo di qualità, della Società americana di chirurgia plastica e della Società americana per la fototerapia dinamica.