google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Le mille virtù di un bagno idromassaggio

Dopo otto ore impiegate a sbadigliare contro uno schermo e due ad imprecare nell’alveo del fiume di auto che inonda le nostre città, cosa c’è di più rilassante e rigenerante per i nostri poveri corpi – talvolta perfino corredati di anima – che abbandonarsi al voluttuoso piacere di un bagno idromassaggio?
Mettete su un bel sottofondo musicale (magari abbandonate per una volta le vostre playlist techno-metal), spegnete tutte quelle luci al neon e seguite la scia delle candele profumate per immergervi nella vostra vasca da bagno pullulante di bollicine d’aria. Quella sensazione di piacere che presto si diffonde nasce dal rilascio di endorfine stimolato dalla pressione esercitata dal massaggio; se ancora non lo avvertite c’è qualche problema con le bollicine … o forse siete voi che proprio non volete concedervi questo prezioso relax.
Ma i benefici dell’idromassaggio non sono solo di natura mentale e ludica: ve ne accorgerete quando, usciti dalla vasca dopo un bagno di non più di mezzora, vi guarderete allo specchio e vedrete il vostro viso pulito e levigato dalle imperfezioni. Questo perché le bolle d’aria e il flusso dell’acqua aprono i pori della pelle distendendola e tonificandola: approfittatene facendo uno scrub prima di immergervi oppure versate nella vasca tonici, sali ed essenze … ma tenetevi alla larga del bagnoschiuma se non volete rischiare un inondazione!
Ormai avrete capito che una vasca idromassaggio è un vero e proprio scrigno di tesori per il benessere mentale e per l’aspetto fisico, per non parlare dei benefici strettamente fisiologici apportati dalla temperatura dell’acqua e dalle sue preziose bollicine in movimento: la compressione e la decompressione dei tessuti infatti, favorisce la circolazione sanguigna e linfatica, nonché il drenaggio dei liquidi responsabile della tanto temuta cellulite. Le infinite virtù dell’idromassaggio combattono anche reumatismi, artriti, malattie respiratorie e perfino l’insonnia, a patto che non vi addormentiate nella vasca ipnotizzati e cullati dal gorgogliare dell’acqua!

di Salvatore Cedra
Link: vasche e box idromassaggio

Gli usi e le virtù dell'Echinacea

Da sempre gli indiani d'America la usano per curare le ferite. L'industria cosmetica, oggi, ha percepito l'enorme potenzialità di questo principio attivo per curare cellulite e rilassamento cutaneo. I prodotti cosmetici a base di echinacea consentono, infatti, di contrastare efficacemente la pelle a buccia d'arancia e la perdita di tonicità del nostro corpo.
Echinacea è una pianta tipica dell'America del Nord e del Messico ma oggi è coltivata in molti paesi temperati del mondo.
Ne sono segnalate nove specie più due varietà. In terapia vengono però utilizzate esclusivamente le specie E. purpurea, E. angustifolia e E. pallida.
Le piante del genere Echinacea sono per lo più perenni, con infiorescenze a capolino, generalmente solitario. I fiori presentano al centro una brattea rigida e acuminata dalla quale deriva il nome la cui radice greca “echinos” significa riccio. I fiori ligulati nelle sfumature dal rosa al porpora, fanno dell’Echinacea anche una bellissima pianta ornamentale.
Le Parti usate sono le radici e le parti aeree.
Gli indiani Sud Dakota la utilizzavano per favorire la cicatrizzazione delle ferite e curare sifilide e morsi di serpenti.
L'echinacea, grazie alle sue proprietà immunostimolanti, è una delle piante medicinali più ricercate nel panorama fitoterapico italiano.
La crescente attenzione verso l'echincacea deriva dalla sua capacità, in gran parte confermata da studi farmacologici, di aumentare la resistenza alle infezioni. Questa pianta si è dimostrata particolarmente utile negli stati influenzali e nella prevenzione delle malattie da raffreddamento.
All'echinacea vengono attribuite anche proprietà anticancerogene che vanno però suffragate da ulteriori dati di rilievo clinico.

In cosmesi, l'echinacea è considerata un principio attivo molto utile nella cura della cellulite e nei trattamenti rassodanti. Infatti grazie alle sue proprietà cicatrizzanti, le sue proprietà leviganti ed elasticizzanti permettono di contrastare efficacemente la pelle a buccia d'arancia e il rilassamento cutaneo, per avere un corpo sempre in forma e sempre giovane.

pubblicato da: Imma Manna
di Giaden Cosmetici srl

Tumore al seno: la Prevenzione di base

Pensare che i tumori e in particolare il tumore del seno non siano prevenibili è un grosso errore. Altrettanto grosso è però l’errore di pensare che il tumore al seno possa essere prevenuto con la mammografia, un esame che viene troppo spesso erroneamente spacciato come preventivo. Occorre fare molta attenzione a non confondore diagnosi precoce e prevenzione: con il primo termine si descrivono interventi mirati a diagnosticare il prima possibile una malattia in atto. Tra i sistemi di diagnosi precoce ricordiamo appunto la mammografia, il PAP test e la densitometria ossea. Con prevenzione invece si intende una procedura medica o di stile di vita atta a ridurre l’incidenza di una determinata malattia. Nel settore della prevenzione la diagnostica per immagini è spesso insufficiente perchè in grado di vedere solamente danni d’organo e non squilibri biochimici e molecolari. In patologie come quelle tumorali per esempio possono passare anche 30 anni dalle prime alterazioni molecolari ad un danno d’organo visibile con indagini radiologiche.

Esiste molta confusione sul significato dei termini diagnosi precoce e prevenzione, confusione che spinge in particolare le donne a sottoporsi ad un numero eccessivo di esami radiologici nell’illusione di prevenire lo sviluppo di tumore. Pensiamo per esempio all’uso della mammografia:

- La mammografia riduce l’incidenza di tumore al seno? No. La mammografia è un indagine che può aiutare nella diagnosi precoce ma non nella prevenzione. In termini numerici di riduzione del rischio assoluto se 1.000 donne partecipano ad uno screening mammografico per 10 anni, 1 morte per tumore al seno verrà evitata. In termini di persone che devono essere trattate per salvare 1 vita queste sono 1000 per 10 anni.

- Una diagnosi precoce significa una riduzione della mortalità? Non in tutti i tumori. Una diagnosi precoce può ridurre la mortalità ma non è automatico che lo faccia. Per esempio nel caso di un tumore senza cura, una diagnosi precoce comporta solo un tempo maggiore in cui il paziente deve vivere sapendo di avere un tumore.

- Una mammografia positiva significa avere un tumore? No. Nel caso di una prima mammografia 1 caso su 10 risultati positivi ha effettivamente un tumore. Nel caso di mammografia ripetute annualmente o ogni 2 anni per 10 volte, 1 donna su 2 può aspettarsi di risultare positiva ad un esame pur non avendo il tumore.

- La mammografia è utile a ridurre la mortalità? Sembra esserlo nelle donne sopra i 50 anni ma non lo è in quelle sotto i 50. Anche nelle donne sopra i 50 anni i benefici sono modesti. In termini di riduzione del rischio assoluto considerando una popolazione di donne che dai 50 anni si sottopone a mammografia ogni 2 anni per i successivi 20 anni, vengono salvate 4 vite ogni 1000 di queste donne.

Inoltre va tenuto presente che esiste un rischio di indurre un tumore al seno a causa delle radiazioni emesse dal mammografo. Questo rischio aumenta in modo linerare con la quantità di radiazioni a cui la persona è stata esposta. Quindi tanto prima una donna inizia a fare regolarmente mammografie tanto più alto sarà il rischio che raggiunge un picco 15-20 anni dopo l’esposizione. Secondo le stime più recenti, su 10.000 donne che si sottopongono a programmi di mammografia a partire dai 40 anni, da 2 a 4 svilupperà un tumore da radiazioni e 1 perderà la vita per questo. Infine la mammografia, soprattutto nelle donne più giovani, diagnostica molti carcinomi duttali in situ che in oltre la metà dei casi non evolvono in un tumore invasivo e quindi pericoloso. La diagnosi quindi comporta successive procedure invasive spesso inutili.
Cosa vuol dire tutto questo? Le donne devono forse rassegnarsi a non poter fare nulla per prevenire il tumore della mammella? No, ma è necessario passare da una semplice diagnosi precoce poco efficace, molto costosa e con una certa dose di rischio ad un vero programma di prevenzione.

Fattori di rischio

I fattori di rischio più noti per il tumore al seno sono:

- Predisposizione genetica

- Menarca precoce

- Menopausa tardiva

- Dieta ricca di grassi

Tuttavia questi fattori di rischio sono presenti solo nel 30% delle donne. Per esempio la presenza di geni ad alto rischio (BRCA1 e BRCA2) probabilmente incide solo per il 4% di tutti i casi di tumore al seno. Evidentemente quindi sono altri i meccanismo patologici alla base di questo tumore, meccanismi che non vengono presi in considerazione ne dai programmi di screening ne dalle comuni analisi dei fattori di rischio. Inoltre se è vero che il 70% dei tumori al seno avviene proprio in quelle donne che non presentano i classici fattori di rischio, è altrettanto vero che a rischio sono quindi probabilmente tutte le donne.

Come si sviluppa il tumore del seno

Come negli altri tumori, anche in quello del seno la malattia inizia quando una cellula (che normalmente non si divide), perde proprietà di auto-regolazione, si traforma ed inizia a dividersi all’infinito. Negli stadi più avanzati alcune cellule possono staccarsi, infiltrare i vasi ed attecchire in tessuti distanti dando luogo a metastasi. Questa trasformazione è indotta da tossine ambientali ed alimentari, scarsa funzione immunitaria, virus, stress, squilibri ormonali e nutrizionali ed elevato stress ossidativo. In generale possiamo dividere le sostanze in grado di stimolare la trasformazione delle cellule mammarie in 2 classi:

- Estrogeni, sostanze estrogeno-simili e xenoestrogeni: gli estrogeni sono fattori di crescita per le cellule mammarie. Sebbene essi non siano responsabili del danno genetico che innesca un tumore, possono favorirne la proliferazione. Vista la ricchezza di recettori per gli estrogeni nelle cellule mammarie e la presenza massiccia di xeno-estrogeni è alta la possibilità di stimolazione delle cellule del seno.

- Agenti cancerogeni: sono agenti in grado di indurre un danno genetico che trasforma una cellula normale in una cellula cancerogena.

Le donne portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 hanno un rischio 4 volte più alto di sviluppare un tumore al seno.

Mettere in pratica un programma di prevenzione per il tumore al seno

Come per altri tumori, anche per il tumore del seno è possibile attuare un programma di prevenzione mirata composto da vari elementi:

1. Favorire un corretto metabolismo degli estrogeni: con estrogeni ci riferisce in realtà a 3 composti: estrone, estradiolo ed estriolo con effetti diversi di stimolazione sul tessutto mammario. L’estrone in particolare, l’ormone maggiore dopo la menopausa, ha un’azione di gran lunga più potente dell’estradiolo e dell’estriolo rispettivamente l’ormone più presente prima della menopausa e l’estrogeno della gravidanza. Inoltre gli estrogeni possono venire metabolizzati in modo diverso dando vita a metaboliti tossici e cancerogeni come il 4-OH estrone e il 16-OH estrone e metaboliti invece protettivi come il 2-OH estrone, sostanzialmente privi di attività estrogenica. Questo diverso risultato metabolico dipende da un delicato equilibrio enzimatico individuale ma può essere modificato da interventi semplici come quelli alimentari. Le verdure crucifere infatti come cavoli, cavoletti e broccoli contengono alte concentrazioni di Indole-3-Carbinolo (I3C) e Diindolilmetano (DIM) sostanze capaci di modificare l’attività di specifici citocromi (enzimi del fegato preposti a metabolizzare tossine, farmaci e sostanze endogene) e di favorire la formazione di composti protettivi come il 2-OH estrone. Per esempio la valutazione del rapporto 2/16 OH estrone con semplice esame delle urine è un indice molto utile in un programma di prevenzione per il tumore al seno. Le donne con un rapporto basso (e quindi con elevate concentrazioni di 16-OH estrone) hanno un rischio del 30% maggior di sviluppare un tumore al seno. É evidente che gli aspetti che riguardano il metabolismo degli estrogeni sono più importante della presenza degli estrogeni in quanto tali. Infatti la maggior parte dei tumori del seno si sviluppano dopo la menopausa quando i livelli complessivi di estrogeni diminuiscono ma l’equilibrio ormonale complessivo varia così come il metabolismo degli ormoni stessi. E’ importante quindi assumere tutti i giorni verdure crucifere possibilmente 2 volte al giorno.

2. Evitare la carenza di progesterone: in molte donne già subito dopo i 30 anni la produzione di progesterone cala considerevolmente. Una delle funzioni del progesterone è quella di proteggere le cellule mammarie dalla stimolazione estrogenica proteggendole quindi dal rischio tumorale. Valutare eventuali carenze di progesterone e integrarle con progesterone bioidentico (non progestinici sintetici ma progesterone con formula analoga a quella del progesterone endogeno) è importante per garantire una corretta omeostasi del tessuto mammario.

3. Determinare le predisposizioni genetiche: anche se le conoscenze genetiche attuali nel campo del tumore al seno permettono di utilizzare con certezza solo mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 che sono fattori di rischio solo nel 4% dei tumori al seno, in casi di predisposizione familiare appare sensato conoscere la presenza o meno di tali mutazioni. Questo oggi si fa con semplici esami del sangue o con un prelievo indolore di cellule della mucosa orale.

4. Fare esercizio fisico regolarmente: esercizio fisico regolare ad intensità corretta è stato messo in relazione ad una riduzione del rischio relative di tumore al seno del 30% e ad un’aumentata sopravvivenza. Inoltre l’esercizio fisico aiuta a ridurre il grasso corporeo. E’ stato visto che un eccesso di peso anche di solo 5 chili dall’età di 30 anni in poi aumenta il rischio di tumore del 25%. Il grasso, ricco dell’enzima aromatasi, contribuisce alla produzione di estrogeni.

5. Ridurre e selezionare i grassi: gli acidi grassi omega 3 contenuti in noci, pesce, semi di lino sono anti-infiammatori e anti-tumorali. Gli acidi grassi omega 6 invece contenuti in alcuni oli vegetali e in grassi animali sono pro-infiammatori e potenzialmente cancerogeni. Un’alimentazione protettiva dovrebbe dunque limitare i grassi saturi animali, le carni rosse, latte e latticini, prodotti confezionati contenenti grassi idrogenati e favorire invece il pesce, le verdure, le noci e i semi naturali.

6. Arricchire l’alimentazione con anti-ossidanti e fibra: l’eccessiva produzione di radicali liberi è una fonte di danno al DNA. Una dieta ricca di anti-ossidanti aiuta a ridurre l’impatto di queste sostanze nocive. Verdure e frutta sono ricche di fitonutrienti che assieme a vitamine come la vitamina A, E e C sono efficaci nel ridurre lo stress ossidativo. Molto utile è anche il té verde ricco di sostanze come l’Epigallocatechina 3 gallate dall’alto potere anti-ossidante. La fibra riduce l’assorbimento di sostanze tossiche e di zuccheri che stimolano la secrezione di insulina e IGF-1 e agiscono come fattori di crescita sulle cellule.

7. Evitare alcol, tabacco, pesticidi, tossine e stress: ogni fattore che ha il potenziale di danneggiare la cellula e indurre una sua proliferazione va evitato in qualsiasi programma di prevenzione tumorale.

Conclusioni

Se con le procedure di diagnosi precoce ci si illude di fare prevenzione e ci si affida in toto ad una tecnologia attribuendole capacità che essa non ha, nella prevenzione si parte sempre dallo stile di vita e da elementi basilari come la nutrizione. Esistono anche inteventi più complessi di chemio-prevenzione che possono essere indicati in casi particolari ma la prevenzione di base dovrebbe essere applicata a tutte le donne indipendentemente dalla presenza o meno di fattori di rischio.

Articolo del Dr. Filippo Ongaro edito dalla Salus Infirmorum e disponibile anche sul sito http://www.edizionisalus.it/. Il Dott. Filippo Ongaro è stato per anni medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed ha lavorato alla NASA e all’Agenzia Spaziale Russa. Oggi è Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging di Treviso e collabora con enti di ricerca tra cui l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e l’Institute for Biomedical problems di Mosca.

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Il ruolo dei genitori nella cura della salute psichica dei bambini

Disagio psicologico e preconcetti

Succede talvolta che bambini con difficoltà relazionali o in condizioni di disagio psicologico non siano sottoposti agli opportuni trattamenti, pur disponibili e provatamente efficaci, perché i genitori “non credono nella psicologia” oppure “temono che venga cambiata la loro personalità”, oppure ancora “mio figlio non è anormale!”.
Al di là della posizione polemica su ruolo e funzione della psicologia, che dovrebbe tener conto dell’evoluzione contemporanea di questa disciplina scientifica, e, parallelamente, della maggiore “credibilità” che essa deve ancora conquistarsi presso una fetta di opinione pubblica, quello che preme agli operatori della salute mentale dei soggetti in età evolutiva è il benessere (mancato) dei minori sottratti alle legittime cure da parte di esercenti la potestà genitoriale sicuramente amorevoli, ma altrettanto sicuramente ignoranti rispetto ai problemi dei figli ed alle possibili soluzioni.

La società civile si deve dunque fare carico della promozione di una nuova cultura della salute mentale che, da una parte, possa superare la diffidenza verso discipline e prassi forse ancora non del tutto “visibili” presso taluni utenti, e dall’altra, permetta di cambiare l’atteggiamento culturale di fronte al bisogno psicologico del bambino ed ai sintomi che egli spontaneamente può manifestare (ad esempio: balbuzie, ansie e paure, condotte auto- ed etero-aggressive, disturbi alimentari, disturbi dell’apprendimento, per citarne alcuni tra i più frequenti; oppure malattie psicosomatiche in cui sia preponderante la componente psichica, quali, ad esempio, alopecia areata, cefalea muscolo-tensiva, disturbi gastrointestinali, ecc.).

Purtroppo, sussiste ancora diffidenza verso la sfera psicologica dell’individuo in quanto permane la correlazione con la “follia”, che tuttora suscita timori e meccanismi di difesa tendenti a negare l’esistenza dei problemi.
Di conseguenza, mentre nessun buon genitore si sognerebbe di non sottoporre il figlio alle cure, ad esempio, dell’ortopedico se presentasse un piedino non perfettamente in ordine, si incontrano ancora genitori che sottovalutano e negano il disagio psicologico di un bambino che presenta difficoltà che non solo “non passano da sole”, ma sono destinate a cronicizzare se non adeguatamente trattate.

Il disagio mentale in età evolutiva

La salute psichica può essere definita come quella condizione psicofisica che consente al minore di sviluppare le proprie potenzialità evolutive, ossia di crescere in una relazione con l’altro sufficientemente buona e in un ambiente idoneo.
Il termine “condizione psicofisica” mette in evidenza che l’individuo è una unità psico-somatica nella quale mente e corpo sono in collegamento dinamico e inscindibile: ne consegue che salute fisica e salute mentale sono strettamente interdipendenti, soprattutto nei primi anni di vita.
E’ opportuno ricordare che tutti i bambini fisicamente sani nascono con gli stessi “talenti” e che lo sviluppo di queste potenzialità dipende in gran parte dall’ambiente in cui vivranno.
Allo stato attuale, pertanto, occuparsi di salute mentale dell’età evolutiva significa farsi carico di rendere l’ambiente di vita del bambino quanto più possibile idoneo per il suo sviluppo.
Il disagio mentale si configura, quindi, come condizione di difficoltà e sofferenza per cui lo sviluppo psicologico dell’individuo viene ostacolato. Questo disagio è evidenziato dal bambino e dalla bambina attraverso una serie di sintomi che variano a seconda dell’età e che possono essere a carico sia del corpo che della mente.

Più il bambino è piccolo più i sintomi avranno manifestazione somatica mentre, crescendo, i sintomi coinvolgeranno preferenzialmente la sfera del pensiero.
Molto spesso, però, ciò che il bambino segnala non viene preso in considerazione, a meno che non si possa collegare ad una malattia fisica, e tutt’al più viene represso con una terapia farmacologia.
In questa operazione di negazione del sintomo psicologico sono talvolta alleati inconsapevolmente molti adulti, dai pediatra agli educatori ai genitori, come detto all’inizio, se non hanno una profonda, matura coscienza che la salute è un processo multifattoriale su tre dimensioni: fisica, psicologica e socio-relazionale.
Infatti, la percentuale dei minori che, pur avendone bisogno non arrivano alla cura dei servizi per la salute mentale (pubblici o privati) è ancora piuttosto elevata, pur essendo la consultazione psicologica un diritto del bambino del tutto analogo ad una qualsiasi altra visita medica.

Come contrastare il disagio psicologico

Il primo passo è la prevenzione e il rilevamento precoce dei disturbi.
Poiché i bambini segnalano spontaneamente il loro disagio non è utile effettuare indagini a tappeto (screening) per rilevare il disagio mentale in età evolutiva.
Tuttavia è importante per una prevenzione specifica lavorare a livello integrato sugli indicatori di rischio che possono venir rilevati dai medici di base, pediatri dei servizi consultoriali, operatori sociali e sanitari della prima infanzia, insegnanti, genitori.
Per rilevamento precoce s’intende una valutazione della sintomatologia nell’infanzia e nell’adolescenza che permetta di riconoscere precocemente i primi segni di disagio mentale, proponendo le eventuali misure terapeutiche che risolvano il problema o ne evitino la cronicizzazione.
Infatti, sia che l’intervento sia posto in essere dai servizi pubblici territoriali che da professionisti privati, gli obiettivi del trattamento sono:

- impedire che il disturbo (segnale di disagio) si strutturi e diventi più grave, non essendo i disturbi psicologici di una certa rilevanza e durata soggetti a remissione spontanea;

- coadiuvare i genitori nel processo di comprensione delle cause dei disturbi dei figli e a cercare forme diverse di rapporto (al di fuori di sensi di colpa sempre in agguato);

- modificare le patologie più strutturate;

- riabilitare competenze perdute a causa dei disturbi psicologici, ad esempio difficoltà scolastiche e blocchi nella socializzazione;

- rafforzare l’identità e l’autostima del minore per evitare il loro coinvolgimento in condotte disfunzionali.

E’ dunque necessario potenziare le iniziative per rilevare, valutare e prendersi cura precocemente del disagio mentale, tenendo conto che le indagini epidemiologiche affermano che circa il 15-20% dei minori presentano disturbi che necessitano di una valutazione, ma che solo la metà di essi accede ai trattamenti. E’ per tale ragione che vanno prese misure specifiche per cogliere, ognuno nel proprio ruolo, l’evidenza della sintomatologia presentata dal bambino e per superare le difficoltà (e le diffidenze) degli adulti nella richiesta di aiuto.

Sostegno al ruolo genitoriale

E’ di primaria importanza restituire competenza ai genitori aiutandoli a superare la resistenza ad entrare in contatto con il disagio mentale dei figli e farsene carico e la diffidenza verso gli operatori psicologico-psichiatrici, spesso vissuti come giudici del fallimento della loro funzione genitoriale piuttosto che come luoghi di aiuto.
Dobbiamo riconoscere che, purtroppo, intorno agli anni ’70 una certa corrente di pensiero tendeva ad attribuire sic et simpliciter alla famiglia, ed in primo luogo alla madre, la responsabilità di tutti i disturbi dei figli, fisici, psichici e relazionali. Si ricorderanno le cosiddette “madri schizofrenogene”, autrici determinanti della discesa dei figli verso gli inferi della schizofrenia.
Ma l’evoluzione scientifica delle discipline psicologiche e psichiatriche in questi ultimi 30-40 anni ha portato a modelli interpretativi e valutativi molto più elastici e realistici: il ruolo dell’ambiente è, evidentemente, importantissimo nella genesi del benessere o del disagio di un bambino, ma oggi si intende ricercare e potenziare le caratteristiche della famiglia, e fornire sostegno nei casi di caratteristiche disfunzionali, anziché attribuire colpe ulteriormente disgreganti il nucleo familiare.

E’ necessario, pertanto, riuscire ad entrare in comunicazione con i genitori, aiutandoli ad assumersi le proprie responsabilità genitoriali sminuendo i timori e i sensi di colpa per eventuali e inevitabili errori, eventualmente indirizzandoli verso luoghi e professionisti idonei ad occuparsi del problema.
Ciò può attuarsi attraverso itinerari educativi con i genitori, in una sorta di psico-educazione che effettivamente può costituire la strada maestra della prevenzione del disagio psicologico di bambini ed adolescenti. Essa si configura come un modo di rendere le famiglie capaci di gestire sempre più autonomamente i problemi rafforzando le loro abilità strategiche e le risorse nel rapporto con i figli.
Operando per aumentare le competenze comunicative ed educative dei genitori si opera direttamente a favore del benessere dei bambini, a condizione che:

- si superi la logica degli interventi straordinari, estemporanei, per produrre cambiamenti stabili e calati nel tessuto sociale;

- ci si integri con gli altri eventuali progetti di intervento portati avanti dai vari attori sociali, per superare il rischio della frammentarietà e della sovrapposizione;

- si progettino i propri interventi in una logica circolare, in cui i genitori siano coinvolti nella progettazione e non restino i meri destinatari dell’intervento.

Conclusioni

Dopo molti anni in cui i genitori sono stati considerati la causa diretta dei disturbi psicologici dei propri figli ed esclusi da setting e progetti terapeutici, oggi i genitori vengono considerati una risorsa nel recupero della salute psichica dei bambini ed integrati nei processi di riabilitazione/terapia.
Ciò significa che essi stessi sono attori partecipi e consapevoli dei cambiamenti cui il bambino deve dar luogo per (ri)stabilire un livello adeguato di benessere e, come tali, mamme e papà sono ormai chiamati a prender parte, in varie forme, agli interventi sui disturbi psicologici dei bambini.
Ma per arrivare a questo punto di forza del trattamento, occorre che, in primo luogo, i genitori riescano ad entrare in contatto con il disagio psicologico del figlio senza sentirsi colpevoli, senza nascondere la testa sotto la sabbia per non sentire il dolore di presunti fallimenti e la vergogna per ipotetici errori.
Fare il genitore è, vox populi, il mestiere più difficile del mondo, non sono previste scuole né tirocini, eppure è la chiave di volta dell’architettura sociale e del benessere individuale.
Facciamo in modo che l’amore che proviamo per i nostri figli non accechi la nostra lucidità: se ci rendiamo conto di problemi che con il tempo (una ragionevole, ma limitata, quantità di tempo) non passano, anzi si aggravano, chiediamo aiuto. Questo non segnerà la nostra debolezza, bensì la nostra forza di guardare in faccia la realtà senza timori.


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L'importanza della Nutrizione nella Salute dell'uomo

Se da un lato è evidente che l’evoluzione tecnologica dell’uomo ha portato innumerevoli vantaggi è altrettanto vero che le profonde trasformazioni dell’ambiente in cui viviamo hanno avuto un impatto molto negativo sulla nostra salute. In particolare l’introduzione dell’agricoltura ed il passaggio da una vita da nomadi e cacciatori a quella di contadini stanziali, si è tradotta in un cambiamento radicale della nutrizione con impatti devastanti sulla salute umana. Il nostro genoma ed il nostro metabolismo si adattano però in tempi estremamente lunghi e i 10.000 anni intercorsi dalla nascita dell’agricoltura ad oggi non sono stati sufficienti ad indurre adattamenti metabolici. Questo significa in parole semplici che il nostro corpo è ancora adattato ad un’alimentazione primordiale mentre da 10.000 anni a questa parte mangiamo in modo sempre più raffinato, cibi sempre più lavorati con sempre più calorie e sempre meno nutrienti.

Alcuni studi molto interessanti condotti separatamente da Cordain, Lindenberg e Ames e pubblicati su prestigiose riviste internazionali, hanno messo in evidenza in tutta la sua drammaticità l’inadeguatezza dell’alimentazione moderna e purtroppo anche dell’approccio della medicina classica al problema nutrizione. La chiave per un’alimentazione sana è la comprensione della progressiva introduzione di cibi inadeguati per la nostra fisiologia durante l’evoluzione umana, introduzione che è alla base di molte patologie moderne come testimoniato dai numerosi studi che hanno confrontato l’incidenza di malattie come gli infarti, i tumori, il diabete e l’obesità in popolazioni che hanno un’alimentazione più vicina a quella primordiale rispetto a noi occidentali. I difetti fondamentali dell’alimentazione odierna si possono riassumere in 7 punti:

1. Eccessivo carico glicemico: l’eccessivo consumo di carboidrati raffinati (non integrali) e di zuccheri semplici è legato a molte patologie tra cui obesità, diabete, iperinsulinemia e resistenza insulinica, sindrome metabolica, ipertensione, malattie cardiovascolari, dislipidemie, sindrome dell’ovaio policistico, acne, gotta ed alcune forme di tumore (colon, seno, prostata). Il consumo annuale di zucchero nel Regno Unito è aumentato da 6.8Kg pro-capite nel 1815 a 54.5Kg nel 1970. Negli USA il consumo di zucchero nel 2000 è arrivato a 69.1Kg all’anno. Il problema non è solo l’assunzione consapevole di zucchero ma anche quella che avviene all’insaputa del consumatore. Lo zucchero è infatti aggiunto in moltissimi prodotti confezionati tra cui bibite, merendine, caramelle, condimenti e perfino nel salmone affumicato e nella senape. Eliminare il consumo di zucchero e sostituire i carboidrati raffinati con quelli integrali è un passo decisivo per migliorare la nostra salute.

2. Errata assunzione di acidi grassi: la demonizzazione spesso eccessiva dei grassi ha comportato un ridotto consumo anche di grassi sani e uno spostamento verso cibi a basso contenuto di grassi ma con zuccheri aggiunti. Un bilanciato consumo di acidi grassi è invece essenziale per la salute umana garantita in particolare dall’assunzione di acidi grassi omega 3 con proprietà anti-infiammatorie, neuro e cardio-protettive. Molte della patologie cronico-degenerative e infiammatorie sembrano essere associate ad uno squilibrio tra omega 3 ed omega 6 con eccessiva assunzione di questi ultimi. Abbondare con il pesce e utilizzare 2 cucchiai al giorno di olio di semi di lino permettono di assicuarsi l’introito adeguato di omega 3. L’altro problema che riguarda i grassi è la massiccia introduzione nei cibi industriali di grassi idrogenati che non vengono metabolizzati dal corpo umano e hanno effetti davvero devastanti sul metabolismo.

3. Errata distribuzione dei macronutrienti: la ridotta assunzione di verdure, legumi e proteine a discapito dei carboidrati ha variato la ripartizione dei macronutrienti. Oggi negli USA la percentuale di energia derivata dai macronutrienti è: 51.8% di carboidrati, 32.8% di grassi e 15.4% di proteine. Le raccomandazioni in genere suggeriscono di limitare l’introito di grassi al 30%, mantenere le proteine al 15% ed aumentare i carboidrati al 55-60%. Questi valori, comprese le raccomandazioni, non hanno nessun fondamento evolutivo in quanto si discostano molto dai valori osservati nelle diete primordiali nelle quali le proteine coprono il 19-35% delle calorie totali, i carboidrati solo il 22-40% e il rimanente viene fornito dai grassi con alto contenuto di omega 3. Inoltre va sottolineato che le percentuali sono meno importanti delle caratteristiche dei macronutrienti. C’è una bella differenza tra il 45% di carboidrati forniti da zuccheri semplici o da verdure e carboidrati complessi integrali.

4. Scarso contenuto di micronutrienti: la raffinazione e produzione industriale dei cibi li rende sostanzialmente privi delle concentrazioni di micronutrienti necessarie a garantire la salute. Nella preparazione dei carboidrati raffinati per esempio vengono eliminate quasi tutte le vitamine e i minerali. Secondo molti autori tra cui Bruce Ames, nel mondo occidentale viviamo in una condizione di carenza cronica di vitamine e minerali, carenza che non è sufficiente a dare una vera e propria avitaminosi ma che incide negativamente sul nostro metabolismo e sulla funzionalità enzimatica. Questo indirettamente potrebbe essere alla base delle patologie cronico-degenerative così tristemente frequenti nei paesi sviluppati.

5. Scarso contenuti di fibra: ai cibi raffinati viene ovviamente tolta la fibra che però ha un ruolo importante nella fisiologia dell’apparato gastrointestinale. La fibra solubile, di cui sono ricche frutta e verdura funge da tampone per l’assorbimento di zuccheri e grassi, riduce le LDL e aumenta le HDL mentre la fibra insolubile, che si trova prevalentemente nei cereali integrali serve ad ottimizzare il transito gastrointestinale e l’alvo.

6. Errato equilibrio acido-base: tutti i cibi dopo essere stati digeriti e metabolizzati rilasciano sostanze alcaline o acide nella circolazione sistemica. Oggi la maggior parte dei cibi alcalinizzanti o neutri (legumi, vedure, frutta, noci, semi, tuberi) sono spariti dalla nostra alimentazione per lasciare spazio a cibi acidificanti (carne, uova, latte, formaggi, sale). Questo comporta che molti di noi sono in uno stato di acidosi cronica che è incide sulla perdita di tessuto muscolare, sull’osteoporosi, sui calcoli renali, sull’ipertensione e sull’ insufficienza renale.

7. Errato equilibrio sodio-potassio: la dieta occidentale ha un contenuto di sodio molto più elevato del contenuto di potassio. Anche in questo caso la causa è la progressiva sostituzione di cibi ricchi di potassio con cibi poveri come i carboidrati raffinati, il latte e formaggi e ovviamente l’introduzione del sale da tavola. Complessivamente queste nuove abitudini hanno causato una riduzione del 400% del consumo di potassio e un pari aumento del sodio. Questa inversione dell’equilibrio sodio-potassio è stata correlata ad ipertensione, ictus, calcoli renali, osteoporosi, tumori gastrointestinali, asma e insonnia.

Il consumo estremo di cibi ipercalorici e iponutrienti è purtroppo molto diffuso e comporta una cronica disfunzione metabolica che coinvolge anche i mitocondri, le centrali energetiche del nostro organismo. Le carenze di micronutrienti (vitamine e minerali) causano veri e propri danni al DNA oltre che una complessi perdita di efficienza delle reazioni enzimatiche. Esiste una notevole mole di dati che indica che una carenza cronica di vitamine e minerali favorisce lo sviluppo di malattie come il cancro. La vitamina D per esempio agisce come un regolatore della proliferazione cellulare e sembra proteggere contro molte forme di tumore tra cui il cancro del seno e della prostata. La nutrigenomica, un nuovo ramo della genomica che studia gli effetti del cibo sull’espressione genica, ha messo in evidenza quanto sia errato vedere il cibo solo in termini di calorie (come viene fatto nella scienza dell’alimentazione classica). Il cibo è invece “informazione” che arriva nell’organismo e modula una serie complessa di processi anche genomici alla base della salute e della malattia.

L’inadeguatezza dell’alimentazione moderna è un dato di fatto scientificamente dimostrato. Purtroppo la maggior parte dei medici fatica a comprendere l’importanza dell’alimentazione nella salute dell’uomo (nel corso di laurea di medicina ancora oggi non si studia nemmeno 1 ora di nutrizione clinica) e a volte sembra anche che le indicazione fornite dalla classe medica siano ancora una volta filtrate delle industrie, in questo caso non quelle farmaceutiche ma quelle alimentari.
Anche se sarà necessaria ancora molta ricerca nel campo dell’alimentazione e della nutrigenomica, esiste già una solida evidenza scientifica che carenze nell’assunzione di micronutrienti possono portare a molte conseguenze deleterie tra le quali il cancro.
Sembra quindi scientificamente poco serio continuare a dare suggerimenti generici sull’alimentazione quando essa potrebbe essere il primo livello di intervento per la prevenzione e la cura di molte malattie. Non si può più oggi suggerire semplicemente una nutrizione equilibrata quando la produzione stessa del cibo lo priva delle sostanze necessarie a promuovere la salute. E’ di ieri la pubblicazione di uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità sull’obesità infantile che indica come in Italia 1 bambino su 3 tra gli 8 e i 9 anni sia sovrappeso o obeso. Questo significa che oltre 1 milione di bambini è destinato ad avere gravi problemi di salute a causa dell’alimentazione a cui sono stati esposti da genitori, scuola e spesso anche dai pediatri e medici in genere, troppe volte succubi delle incessanti pressioni pubblicitarie.

Proprio nel caso dell’alimentazione dei bambini si continuano a sentire consigli infondati e non scientifici che spingono i genitori a nutrire i propri figli con latte, yogurt, formaggio, merendine, pasta, pane, etc. ingnorando l’evidenza scientifica che indica come il latte per esempio sia un alimento nocivo per l’uomo cosi come tutti i cibi raffinati e preparati industrialmente. Questi ultimi inoltre saziano poco essendo privi di sostanze come la fibra che riempie lo stomaco e sono studiati appositamente per creare forme di dipendenza e stimolazione dei centri del piacere a livello cerebrale. In questo modo raggiungono l’obiettivo industrialmente molto utile che è quello di spingerci a mangiare sempre di più e sempre più spesso. Un esempio estremo di questa strategia commerciale sono i cosidetti cibi light, studiati appositamente per illuderci che essendo light non ingrassano e che quindi se ne possono assumere di più. Infatti l’introduzione dei cibi light (per altro ricchi di zuccheri e dolcificanti) ha coinciso con un aumento dell’obesità e con un relativo maggior consumo di quelle particolari categorie di cibo rispetto alle versioni non light.

La verità sull’alimentazione è che per garantire la nostra salute nel futuro dobbiamo impossessarci nuovamente del nostro passato. Gli animali selvatici mangiano con lo stomaco e il sistema gastrointestinale. Non ingrassano, mangiano quel che basta per sfamarsi e rimangono attivi ed autonomi fino a pochissimo prima della loro morte. L’uomo moderno putroppo mangia con il cervello ed i centri del piacere, non sazia il suo corpo ma i suoi desideri e ne paga le conseguenza in termini di malattie degenerative. Gli approcci più moderni ed innovativi all’alimentazione, come la nutrigenomica, sono sviluppi preziosi per la comprensione molecolare degli effetti della nutrizione sul corpo umano.

Dott. Filippo Ongaro




Il Dott. Filippo Ongaro è stato per anni medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed ha lavorato alla NASA e all’Agenzia Spaziale Russa. Oggi è Direttore Scientifico dell’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging di Treviso e collabora con enti di ricerca tra cui l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e l’Institute for Biomedical problems di Mosca.

Chirurgia estetica delle cicatrici

Abbiamo piu' volte scritto che le cicatrici sono un argomento delicato e difficile, un capitolo ostico per la chirurgia, non solo per il problema della visibilita', ma soprattutto per l’impossibilita' concreta di eliminarne ogni traccia. Ogni medico sa bene che ogni soluzione di continuita' nel tessuto cutaneo e' risolvibile grazie alla cicatrizzazione, un processo che, se da un lato e' il segno dell’avvenuta guarigione, dall’altro e' una traccia indelebile.
Le tre immagini riportano le principali fasi della Mosaic Surgery eseguita su una cicatrice lungo il solco sottomammario, derivante da una precedente procedura di mastoplastica additiva. Il primo fotogramma riprende la situazione iniziale. Il secondo scatto mostra la fase intermedia ad una settimana dalla seduta di microchirurgia. La terza immagine e' stata scattata a percorso ultimato, una volta eseguito un peeling laser per uniformare l’epitelio E' esperienza comune, poi, che per una certa percentuale di persone, le cicatrici diventano in se' problematiche, sviluppando tessuto ipertrofico o addirittura patologiche, come i cheloidi. Superfluo ripetere che lo scotto estetico di una cicatrice lo si paga in tutti gli eventi traumatici in cui c’e' lacerazione della pelle, e chirurgici, compresa la chirurgia plastica estetica. ''Le cicatrici sono spesso vissute dall’individuo come una stimmate – commenta il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova – perche' imprimono indelebilmente sulla pelle l’evento che ha causato la lesione. I mezzi oggi a disposizione per affrontare la questione sono molteplici, dove le diverse procedure chirurgiche, microchirurgiche e dermatologiche si intersecano nell’obiettivo comune di minimizzare la visibilita' della cicatrice''. E' nata cosi' una intera area d’intervento nel campo della chirurgia dermoestetica dedicata alla revisione chirurgica della cicatrice. Questo approccio appare particolarmente utile nel caso in cui la lesione sia di tipo ipertrofico o comunque esteticamente deturpante. Il fine e' la riduzione dell’ampiezza e il riallestimento di una nuova cicatrice piu' accettabile. Per ottenere i migliori risultati possibili c’e' da tenere alcuni fattori che ne influenzano l’aspetto estetico, e fra questi, in primo luogo la localizzazione delle ferite appare decisamente rilevante. Se infatti la sutura avviene lungo le virtuali linee chiamate ''di Langer'', la guarigione e' piu' rapida e con minori rischi di formazione di tessuto anomalo. Inoltre, se la cicatrice si trova in una zona nascosta, e' chiaro che diventa immediatamente una lesione di secondaria importanza. ''Per questo, la prima attenzione in fase di revisione chirurgica della cicatrice e' il riallestimento della stessa in parti che si trovano lungo le naturali pliche cutanee, o comunque meno esposte alla vista'', chiosa il dottor Pallaoro. Altrettanto considerevole e' il ruolo giocato dalla trazione cutanea esercitata sul tessuto cicatriziale. ''Le ferite che di trovano in prossimita' delle giunture, infatti, spesso degenerano in cicatrici ipertrofiche, perche' la lesione e' continuamente sollecitata. Lo stesso avviene laddove l’area cicatriziale debba sopportare il peso dei tessuti con un vettore di trazione perpendicolare alla sutura'', specifica il chirurgo plastico. ''Per far fronte a questa eventualita', nel trattamento chirurgico di cicatrici ipertrofiche o antiestetiche, laddove possibile, si tenta di allestire un nuovo orientamento dei lembi''.

Fondamentale e' poi la tecnica di sutura, nella revisione chirurgica: ''un tipo di sutura per piani, cioe' praticata dall’interno verso l’esterno della lesione secondo diversi livelli, evita che il peso dei tessuti gravi esclusivamente sulla cute superficiale e che quindi si formi l’ipertrofia''. Non meno importante e' infine il metodo con cui si sutura la ferita: ''per chiudere la sutura per piani, superficialmente si rivelano utili gli stapler metallici in luogo dei punti tradizionali. Questi favoriscono l’avvicinamento dei lembi in modo omogeneo e senza raggrinzimenti''.Un peeling effettuato con il laser e' una procedura adottata per la riduzione delle cicatrici piu' leggere e superficiali della pelle, in particolare del viso, mentre un approccio evoluto e innovativo al trattamento delle cicatrici e' la micro chirurgia a mosaico, una tecnica ideata e messa a punto dallo stesso dottor Carlo Alberto Pallaoro. La Mosaic Surgery prevede la progressiva rimozione di piccoli frammenti di tessuto lesionato che vengono sostituiti da porzioni di derma sano. Questa procedura e' ripartita in genere in quattro sedute ed e' indicata per il trattamento di cicatrici sottili, come quelle provocate da interventi chirurgici, oppure le piccole lesioni lasciate dall’acne. Il percorso della Mosaic Surgery prevede che, al termine delle sedute necessarie per la sostituzione del derma danneggiato con quello sano, venga realizzato un peeling con il laser Co2 pulsato. ''La rimozione dell’epitelio ad opera del laser nel corso della procedura di peeling - conclude Pallaoro - provoca la produzione guidata di un nuovo strato superficiale senza asperita' e piu' omogeneo''.

Terapia con Gel siliconico

Tutte le soluzioni ad ora adottate per la rimozione o la revisione delle cicatrici antiestetiche, fino ad ora sono state di tipologia chirurgica (o microchirurgica, come la Mosaic Surgery, oppure con il laser Co2, come l’ablazione del peeling). Esiste pero' un innovativo metodo per prevenire la formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi e per minimizzare gli esiti estetici di una lesione anche a breve distanza dall’evento che lo ha causato. Si tratta della terapia a base di gel in silicone proposta dalla statunitense Biodermis oggi disponibile anche in Italia, attraverso il sito internet www.biodermis.eu. La gamma in gel di silicone comprende i fogli in diversi formati, uno stick e un gel. Questo tipo di trattamento non e' in realta' una terapia farmacologica, poiche' sulla pelle viene semplicemente applicato il prodotto, il quale basa la sua efficacia nella particolare barriera che forma. Il gel in silicone lascia traspirare la pelle, ma trattiene la percentuale ideale di umidita' e ossigeno tali per cui viene favorita la normalizzazione della cicatrice anche senza l’applicazione di farmaci (evitando quindi terapie corticosteroidee, le piu' utilizzate in caso di ipertrofie cicatriziali). Questa terapia e' il frutto di anni di ricerche e test clinici sull’efficacia e l’ottima tolleranza della pelle nei confronti del gel in silicone. ''L’applicazione del gel in silicone Biodermis – commenta il dottor Pallaoro – e' il trattamento ideale anche dopo la chirurgia estetica, in particolare dopo gli interventi che inevitabilmente lasciano segni visibili, come la mastopessi o l’addominoplastica, per i quali esistono cerotti preformati secondo gli schemi d’incisione''. Dopo soli due mesi di impiego costante del gel in silicone, la cicatrice viene ammorbidita, il tessuto risulta piu' chiaro e meno rilevato e si previene la formazione di complicanze. L’efficacia dei prodotti Biodermis e' testata anche su cicatrici di vecchia data.

pubblicato da:

Mario Luigi Pallaoro

di Pallaoro Medical Laser snc