google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Le fantastiche proprietà dell'Equiseto

L' equiseto é una pianta di piccole dimensioni ben radicata in tutta la zona del Mediterraneo, facilmente reperibile anche in Italia in zone umide, vicino a corsi di acqua e piccoli ruscelli, in ogni caso dove vi sia ristagno di acqua permanente. Capita spesso di trovare colonie di equiseti nelle zone con le caratteristiche appena descritte.

L'aspetto dell' equiseto é caratteristico: ha fusto eretto e segmentato di un colore o tendente al verde o al marrone/beige, dal quale partono lateralmente filamenti verdi a loro volta segmentati. In Italia viene chiamata anche coda cavallina proprio per la forma che ricorda la coda del cavallo. L' equiseto é perenne, fondamentalmente da sotto bosco e, anche se sembra una pianticella anonima, la sua comparsa sulla terra é antichissima e risale probabilmente al devoniano con un massimo sviluppo avvenuto durante il carbonifero, lasciando poi, con una progressiva regressione, il posto a piante più complesse e moderne: é negli strati terreni del carbonifero che si trovano la maggior quantità di fossili di antichi equiseto.

La specie senza dubbio più diffusa in Europa è l'E. arvense. Le dimensioni variano da specie a specie: generalmente, la maggior parte di queste piante produce fusti di dimensioni comprese tra i 20 cm e il metro e mezzo, ma l’E. telmateia può raggiungere i 2,5 m, mentre le specie tropicali E. giganteum e E. myriochaetum rispettivamente i 5 m e gli 8 m.
Il silicio contenuto nell'equiseto contribuisce con calcio, magnesio ed altre sostanze al "metabolismo dell'osso” e favorisce l'accrescimento osseo.

Le principali azioni riconosciute all'equiseto sono:

- remineralizzante

- detossicante:

- coagulante

- diuretica

Remineralizzante: durante processo di calcificazione delle ossa, tra le varie sostanze chiamate in gioco, é indispensabile la presenza del silicio di cui l' equiseto é naturalmente ricco. Si è notato che la demineralizzazione ossea è legata proporzionalmente alla caduta del tasso di silicio.

Il silicio si localizza nell'osteoblasto, una cellula in grado di stimolare la costruzione dell'osso, e in questo modo favorisce il deposito del calcio nei siti attivi di calcificazione.

Detossicante: grazie alla presenza di silicio, l’equiseto è utile per eliminare le scorie metaboliche.

Coagulante: grazie all'alto contenuto di calcio presente.

Diuretico: la sua azione é notevole ed è dovuta alla complessa composizione ricca di sali di potassio, ai glucosidi flavonoidici e alle saponine.

È inoltre una pianta usata in erboristeria dai tempi più antichi proprio per la sua ricchezza di sali minerali. Queste sue proprietà si sono dimostrate utili e preziose anche in campo cosmetico: in particolare l’equiseto viene utilizzato nella preparazione di prodotti cosmetici indicati per il trattamento delle smagliature, della cellulite, della pelle a buccia d’arancia e per rassodare i punti critici.

L’applicazione di prodotti cosmetici contenenti questo principio infatti riduce le smagliature e ne impedisce la formazione di nuove, elimina gli accumuli di adipe, combatte l’antiestetica buccia d’arancia e il rilassamento cutaneo, donando alla cute elasticità e morbidezza, rendendola liscia e vellutata.

Pubblicato da: Imma Manna

di Giaden Cosmetici srl

Onicofagia e unghie finte, una buona soluzione

Alcune donne usano le unghie finte per semplice abitudine, altre anche solo perchè sono belle, richiedono poca manutenzione e sopportano facilmente l'usura delle azioni quotidiane.

Se applicate e rimosse correttamente, le unghie finte intaccheranno solo poco o nulla le unghie naturali e alla lunga le renderanno anche più forti e sane. Deborah Lippmann, esperta di unghie, dice: Applicarsi unghie finte è un pò come tingersi i capelli - una volta che hai cominciato puoi andare avanti per sempre. Quando ci si ferma le unghie ritornano le stesse di prima, così come i capelli finiscono col riprendere il loro colore naturale.

Le unghie finte non sono come una normale manicure che può essere fatta anche occasionalmente. Al contrario, come spiega la Lippmann, "c'è bisogno di ritoccare le unghie finte ogni due o tre settimane per evitare che si rovinino o si stacchino". Questo si verifica quando lo strato di colla si indebolisce e l'unghia finta si solleva dall'unghia naturale. C'è anche un altro motivo per cui diventa opportuno fare spesso la manicure: se dell'acqua dovesse restare intrappolata sotto le unghie finte, le unghie vere potrebbero sviluppare un'infezione fungina e diventare verdi.

Ci sarà anche bisogno di appuntamenti regolari di manicure per gestire e riaggiustare le unghie finte mentre quelle vere crescono sotto. Quando poi si vogliono rimuovere le unghie finte, il metodo più sicuro e semplice è recarsi in un salone, lasciare le unghie a bagno per un pò e poi rimuoverle delicatamente con una manicure.

Sebbene ci sia una vasta scelta per quanto concerne le unghie finte, non ce n'è un tipo "migliore". Consulta il tuo manicurista per trovare il tipo di unghia che più si adatta alle tue esigenze, oppure cerca un esperto che possa applicarti le unghie che preferisci.

Ecco i tipi di unghie più comunemente usati:

Unghie scolpite:
In questo processo, l'acrilico, il gel o la fibra di vetro vengono applicati sulle unghie naturali e il materiale è allungato o scolpito su piccoli pezzi di metallo o su di un foglio. In alternativa, un'unghia in materiale plastico può essere applicata con la colla, quindi gel, fibra di vetro, di seta, possono essere definiti sull'intera unghia. Via via che l'unghia naturale cresce sotto quella finta, questa viene aggiustata e rifinita fin quando non ci si trova semplicemente a sovrapporre l'unghia artificiale sopra quella vera.



Pubblicato da: Alessandro Mazzù

di QADRA.net

La Depressione e il dolore di vivere

La depressione è una malattia che condiziona fortemente la vita delle persone che ne soffrono, le loro relazioni interpersonali, il loro rendimento sul lavoro o sullo studio e il piacere di curare la propria persona o di godere appieno del tempo libero.
Il disturbo depressivo può colpire chiunque a qualunque età, ma è più frequente tra i 25 e i 44 anni di età ed più comune nelle donne adolescenti e adulte.
Può iniziare dopo un particolare periodo di stress, come ad esempio la morte di una persona cara, la perdita del lavoro.
Chi soffre di depressione si sente sempre giù, con umore e pensieri sempre negativi. Sembra che presentino un vero e proprio dolore di vivere, che li porta non riuscire a godersi più nulla.

Oltre a questi sintomi primari, le persone che soffrono di questo disturbo ne presentano altri, come:

- mancanza di energie, affaticamento, stanchezza;

- aumento o diminuzione significative dell'appetito e quindi del peso corporeo;

- disturbi del sonno (dorme di più o di meno o si sveglia spesso durante la notte);

- rallentamento o agitazione;

- difficoltà a concentrarsi;

- sensazione di essere inutile, negativo o continuamente colpevole;

- pensieri di morte o di suicidio.

Chi soffre di depressione può soffrirne in modo acuto, presentando delle fasi di depressione violente ed improvvise, che magari tendono a scomparire da sole o con una terapia, oppure soffrirne costantemente, anche se in forma leggera, con alcuni improvvisi momenti di peggioramento.

Spesso le persone che stanno vicino a chi ne soffre, lo invitano a reagire, a sforzarsi.
Questo comportamento induce la persona depressa ancora di più a colpevolizzarsi.
L’atteggiamento migliore da tenere è quello di aiutare gradatamente chi ne soffre a riprendere le proprie attività, assumere un'adeguata terapia farmacologica ed intraprendere una psicoterapia cognitivo comportamentale: solo la combinazione di tutto ciò può portare il depresso sulla via della guarigione e ridurre il rischio, abbastanza elevato, di ricadute.

Pubblicato da: Imma Manna

di Giaden Cosmetici srl

L'attività medica condizionata dalla paura dei tribunali

Camici bianchi troppo zelanti nelle prescrizioni di farmaci, visite specialistiche e, addirittura, ricoveri (la cosiddetta medicina difensiva positiva); oppure pronti a lavarsene le mani, evitando pazienti e procedure difficili (medicina difensiva negativa).

Sono i due 'sintomi' di una vera e propria 'patologia' che colpisce i medici e che scaturisce dalla paura delle sempre più numerose cause legali, circa 30mila all'anno, intentate contro di loro dai pazienti per 'malpractice'.

LA PAURA SOTTO IL CAMICE. Ad ammetterlo sono gli stessi camici bianchi: l'87.6 per cento di quelli romani confessa, infatti, di sentirsi, oggi, più esposto a denunce da parte dei propri assistiti. E' quanto emerge dallo studio, realizzato dall’Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri, "La medicina difensiva in Italia in un quadro comparato: problemi, evidenze e conseguenze", condotto dal professore Aldo Piperno, ordinario di Scienze dell'Organizzazione dell'Università Federico II di Napoli, su un campione di 800 medici. Incide e non poco anche la percezione dell’errore medico da parte della popolazione. Un'indagine europea del 2006 rivela proprio come l'Italia sia al primo posto della graduatoria: per il 97 per cento degli italiani quella degli errori medici è una questione importante. Non solo: anche la percentuale dei preoccupati (64 per cento) è superiore alla media (del 40 per cento) degli altri paesi.

LE DIAGNOSI. Ed ecco che sono sempre meno i medici capitolini che dichiarano di non fare diagnosi di tipo difensivo e di non farsi vincere dalla paura delle denunce. Per l'esattezza, il 39.3 non eccede nelle prescrizioni di ricette farmaceutiche, il 14.3 di visite specialistiche, il 27.1 di analisi in laboratorio e il 42 di ricoveri. Così, il 59.7 per cento prescrive più ricette farmaceutiche, l'89.3 più accertamenti diagnostici, il 72.9 più analisi di laboratorio e il 58.1 più ricoveri.

DA 12 A 20 MILIARDI DI SPESA. La pratica della medicina difensiva comporta ripercussioni economiche sull'intero Sistema sanitario nazionale con una spesa tra i 12 e i 20 miliardi di euro all'anno: "I costi stimati - spiega Piperno - oscillano dai 12.3 (ipotesi minima) ai 19.5 (ipotesi massima) miliardi di euro". Un dato su tutti quello fornito dall'Associazione nazionale imprese assicurative (Ania): le denunce dei pazienti sono passate da circa 17 mila, nel '96, a 28 mila, nel 2006.

Ma basta solo guardare le percentuali di farmaci prescritti dai medici 'sulla difensiva': dallo studio del Lazio emerge come, tra le prescrizioni farmaceutiche, in testa ci siano quelle per l'apparato cardio-circolatorio (il 33.8 per cento), seguite dai farmaci per l'apparato digerente (28.3) e da quelli per l'apparato respiratorio (27.9). Non c'è dubbio che "le condizioni in cui operano oggi i medici non sono di serenità - sottolinea Mario Falconi, presidente dell'Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e odontoiatri - e questa ricerca evidenzia proprio quanto oggi i camici bianchi vivano con disagio e paura la professione. C’è solo una terapia d’urto per affrontare il problema: puntare su meritocrazia e formazione". "Ma sarebbe importante, ed è quello a cui noi puntiamo, - conclude - poter disporre di un'Authority sulla tutela della salute, un organismo terzo, snello e di rapida decisione in grado di valutare chi si muove nel settore, inclusi i pazienti, e a cui potersi rivolgere".

SONNI AGITATI. Lo spettro del tribunale, insomma, non fa dormire sonni tranquilli ai camici bianchi. E il comportamento diagnostico difensivo che ne deriva, nel 54.2 per cento dei casi è influenzato proprio dalle iniziative della magistratura. Anche se il 74 per cento dei medici romani ammette di essere condizionato dal nuovo clima dell’opinione pubblica e dei media nei confronti della categoria. Ma la pratica della medicina difensiva deriva pure dall'influenza dell’esperienza di colleghi (lo ammette il 56.2 del campione) o dalla paura di valutazioni negative sul luogo di lavoro (la pensa così il 36.6 per cento dei medici). D'altronde solo il 6.7 per cento dei professionisti della Capitale esclude la possibilità di incorrere in un esposto o denuncia da parte dei pazienti, mentre per il 68.9 c'è una probabilità di rischio fino al 30 per cento, per il 15.1 tra il 31 e il 50 per cento e per il 9.3 addirittura oltre il 50 per cento.

Pubblicato da: Pier Giuseppe Nanni

di Nanni Editore

Anestesia epidurale per il Parto indolore

Il desiderio della donna di poter vivere il travaglio del parto come un evento sereno e non traumatico ha contribuito alla diffusione ed all’applicazione delle tecniche di analgesia di parto.

Durante i nove mesi della gestazione, la futura mamma si pone la domanda se sia giusto ricorrere all’analgesia epidurale oppure se si debba partorire naturalmente senza aiuti. E molto spesso non ha a disposizione tutte le informazioni necessarie per fare una scelta serena non sapendo, sovente, neppure in cosa consiste di preciso questo tipo di anestesia.

Per anestesia epidurale ci si riferisce a un’iniezione di farmaci anestetici, effettuata da un'anestesista, nella parte bassa della schiena, tra l'osso vertebrale e la membrana che ricopre il midollo spinale, la cosidetta "dura madre".

Posto che il dolore del parto supera, come intensità, perfino quello dovuto a frattura e a tumore, esistono comunque dei fattori che condizionano la percezione del dolore:

- peso ed età della partoriente

- dimensioni e presentazione del bambino;

- durata, intensità e frequenza delle contrazioni;

- primo parto.

E L’epidurale eliminerà solamente la componente dolorosa della “contrazione” ma non la contrazione stessa. La forza espulsiva, rimanendo inalterata, permette un parto del tutto naturale ma sereno; il benessere della madre si trasmette al figlio, riducendo significativamente le complicazioni legate al parto.

A questo punto ci si potrebbe chiedere perchè non tutte le donne optano per l'analgesia epidurale.

A parte le donne che desiderano vivere intensamente il parto e preferiscono non avere alcun aiuto, ci sono altri fattori che incidono sulla scelta o meno dell'epidurale.

Innanzitutto bisogna tener presente che non tutti gli ospedali offrono questo tipo di aiuto alla futura mamma; l’anestesista non è poi a disposizione 24 su 24; in alcune strutture il ricorso all’epidurale è a pagamento e va concordato in anticipo.

Inoltre va tenuto presente che come tutti gli interventi medici, anche questa forma di analgesia può avere controindicazioni. Non viene quindi praticata a donne affette da disturbi della coagulazione del sangue e che hanno assunto farmaci anticoagulanti, da chi ha infezioni localizzate nella regione della schiena o patologie della colonna vertebrale o ancora da rare patologie muscolari.

Normalmente non ci sono effetti collaterali:gli inconvenienti sono trascurabili ma una minima percentuale di donne può andare incontro a forte mal di testa per due o tre giorni dopo il parto.
In casi rari è possibile l’accidentale iniezione di farmaci non nello spazio epidurale, come previsto, bensì nel canale spinale. Ciò porta problemi alla respirazione spontanea.
Se eseguita correttamente però ha molti vantaggi: innanzitutto il sollievo del dolore è efficace fin dalle prime fasi del travaglio, riduce il consumo di ossigeno materno, protegge gli scambi placentari tra madre e figlio.

Da segnalare, in conclusione, che una maggiore attenzione al dolore del travaglio favorisce in modo determinante l’evolversi della medicina perinatale.

Pubblicato da: Imma Manna

di Giaden Cosmetici srl

Candida Albicans: guarirne e ridurne gli episodi di recidiva

Quasi il 75% delle donne ha avuto o avrà nel corso della propria vita almeno un episodio di micosi vulvovaginale, causata nel 90% dei casi da un fungo denominato Candida Albicans.

La Candida è normalmente presente nella vagina insieme ad altri batteri, che formano l’ecosistema vaginale. Sono state individuate alcune condizioni predisponenti che, alterando questo ecosistema, consentono il suo sviluppo e la comparsa dei sintomi tipici dell'infezione. La gravidanza è una di queste condizioni: molte donne proprio durante la gestazione (il pH aumenta) hanno un primo episodio o una recidiva. Altre condizioni sono tutte quelle dove c'è una compromissione delle difese immunitarie come gli stati di immunodeficienza congenita od acquisita ed il Diabete. Anche l'uso di alcuni farmaci come cortisone o antibiotici (alterano direttamente la flora batterica vaginale) può determinare l'insorgenza di una vulvo-vaginite da Candida. Una particolare frequenza di infezione è stata riscontrata nelle utilizzatrici di contraccettivi orali (favorirebbero una maggiore adesività del fungo alla parete delle cellule), nelle donne obese ed in quelle che solitamente indossano pantaloni molto aderenti.

Il sintomo tipico della Candida è un prurito irrefrenabile che induce a grattarsi frequentemente. Spesso al prurito si accompagna una perdita bianca, la cosidetta "ricotta", a volta così abbondante da prendere un riflesso verdastro. Talvolta è presente anche bruciore durante la minzione come conseguenza dell'irritazione vulvare e di una eventuale contaminazione uretrale.

All'esterno della vagina si possono avere sulla cute delle macchie rosse che si estendono dalla zona inguinale alle cosce, alle natiche, alla base della schiena.

La terapia si basa nella gran parte dei casi sull’uso di farmaci antifungini per via topica (locale) sotto forma di ovuli e lavande. L'econazolo, il ketogonazolo, il fluconazolo e l’itraconazolo sono i farmaci maggiormente usati in caso di candida.
L’utilizzo di questi farmaci deve sempre essere valutato dal proprio medico curante o dallo specialista ginecologo.

Bisogna aggiungere che il trattamento di un eventuale partner maschile è raccomandato solo quando quest'ultimo presenta una balanite (infezione del pene) sintomatica. Nei periodi di terapia è bene astenersi dai rapporti sessuali.
Per ridurre il rischio di insorgenza del fenomeno Candida o per evitare che essa si ripresenti, è bene curare l'alimentazione, limitando i dolci e mangiando frutta, verdura, yogurt e fermenti lattici.

- Non bisogna usare indumenti sintetici, non va usata la microfibra per gli slip perché aderisce eccessivamente e alza la temperatura.

- Non bisogna indossare pantaloni aderenti.

- Non bisogna detergersi troppo energicamente nelle parti intime ed prestare attenzione a che la zona anale e quella vaginale siano lavate separatamente.

C'è da dire comunque che vi sono donne che soffrono di candidiasi tutti i mesi e che riuscire a limitare i momenti acuti a due o tre l'anno, facilmente controllabili con la terapia locale, viene già considerato un discreto successo.

Pubblicato da: Imma Manna

di Giaden Cosmetici srl

Libri Consigliati:

- Guarire le Infezioni da Candida di Pignatta Valerio Ordina su Librisalus.it

Depressione post-partum: è un errore non chiedere aiuto

Una solitudine indotta, per pudore, paura, timore del giudizio. Un’angoscia consumata in silenziosa segretezza, giorno per giorno, senza vie d’uscita apparenti, a tu per tu con un esserino indifeso, totalmente dipendente da una mamma che si sentiva inadeguata e infelice.

La signora Luisa (nome di fantasia) di Milano, racconta così il decorso post partum della sua prima maternità otto anni fa, pure desiderata e cercata per mesi in armonia con suo marito. Il buio è arrivato un giorno, alla 29esina settimana di gestazione, quando si conclama il rischio di un parto prematuro: "E’ stata credo la scintilla che ha innescato la mia profonda angoscia e infelicità- spiega Luisa-. Mio figlio è nato prematuro alla 33sima settimana. Ma i problemi sono continuati: ad un mese dalla nascita ha subìto un piccolo intervento per piccole complicazioni all’apparato digerente. Ma io da dopo il parto non ero già più la stessa".

Come potrebbe descrivere il suo stato di allora?

"Mi sentivo gravata da una responsabilità insostenibile, per la quale non mi sentivo preparata. E seppure amavamo molto il piccolo e mi inteneriva averlo accanto, ne sentivo tuttavia il peso. Era un conflitto che mi divorava. Il pensiero di dover trascorrere la giornata accudendo mio figlio, mi provocava un senso di profonda angoscia, insoddisfazione e senso di inadeguatezza. Ero infelice, e confesso di aver pensato “Ma chi me l’ha fatto fare, stavo meglio prima".

Non aveva, da parte della sua famiglia, un sostegno durante la giornata?

"Purtroppo no. All’epoca avevo già perso mia madre, e mio marito aveva preso tutti i permessi possibili per starmi accanto e darmi una mano. Ero sola, e questo mi atterriva. Avrei voluto staccare ogni tanto, avere piccoli ritagli di tempo per me. Mi sentivo un leone in gabbia. Se solo avessi chiesto una mano a mia suocera, forse le cose si sarebbero risolte più velocemente…ma non lo feci".

Questa condizione psicologica, le ha mai trasmesso il timore di poter far del male a suo figlio?

"No, mai. Malgrado tutto non ho mai avuto la sensazione che avrei potuto perdere la testa e fare del male al piccolo. Il mio senso di responsabilità me lo impediva. Per questo, ora posso dire che la mia è stata forse una depressione leggera. Certamente mi sentivo in colpa di non poter godere, come avevo immaginato e sperato prima di rimanere incinta, di quei momenti speciali che sono unici nella vita di una donna. Ero consapevole di perdere qualcosa che non avrei mai potuto più recuperare. Ma ero incapace di impedirlo…"

Parlò del suo stato a suo marito?

"No, gli nascosi la vera natura di quella che lui interpretava come grande stanchezza fisica, nonostante la sua comprensione e attenzione..."

Perché non gli disse nulla?

"Allora non me ne rendevo conto, ma oggi posso dire che con ogni probabilità avevo timore che potesse male interpretare, che mi giudicasse una madre snaturata. Mi addolorava il pensiero che potesse accorgersi che non ero una neomamma radiosa e soddisfatta".

Ma con qualcuno ebbe il coraggio di confidarsi?

"Solo in parte. Parlai con un’amica, ma non sbandierai che mi sentivo depressa. Le persone che con le quali avevo contatti, scambiavano il mio stato per normale stanchezza e disorientamento, dovuto alla rivoluzione che provoca l’arrivo di un bambino".

Per quanto tempo perdurò la sua depressione?

"Per circa un anno. Quando potei ritornare al mio lavoro, alla mia vita, tutto riprese il suo corso normale. E ne uscii".

Come mai, non ebbe l’istinto di chiedere aiuto ad un medico?

"Per lo stesso motivo che mi impediva di confessarlo a mio marito. Pudore, vergogna, e la sensazione che tutto sommato ce l’avrei fatta da sola. A posteriori, però, posso dire che fu un grave errore. Parlarne è di fondamentale importanza per avere l’esatta dimensione che non si è sole, che è una patologia diffusa e che esistono metodi efficaci per curarsi. Dell'incidenza della malattia, mi sono accorta da quando frequento il forum NoiMamme, uno spazio virtuale dove tante donne e madri si incontrano e si confrontano: sono tantissime quelle che ne parlano solo in questo spazio visrtuale, perchè mascherate dall'anonimato".

Che cosa è accaduto in seguito?

"Dopo circa tre anni ho deciso di avere un altro figlio. Non lo feci a cuor leggero, lo ammetto, ma volevo ritentare per cercare di recuperare le emozioni e le gioie che avevo perduto con il mio figlio. Per fortuna, tutto è andato bene e oggi posso dire di essere serena. Ma a tutte le neo mamme dico, non aspettate a chiedere aiuto se qualcosa in voi si oscura. Farete il vostro bene e quello del vostro piccolo".

Pubblicato da: Pier Giuseppe Nanni

di Nanni Editore

La tossicità può essere anche in casa nostra

Purtroppo, al giorno d’oggi, capita spesso di venire a conoscenza di innumerevoli contraffazioni e sofisticazioni alimentari che, ovviamente, provocano grande sgomento nell’opinione pubblica.

I rischi per la salute sono realmente gravi. Giustamente, gli organi preposti pongono particolare attenzione a ciò che giunge sulle nostre tavole. Ma il pericolo da sostanze nocive non deriva solo da ciò che portiamo in tavola. Anche la nostra casa, l’ambiente in cui si trascorre più tempo rispetto a tutti gli altri luoghi, può costituire un reale pericolo per la nostra salute.

Parliamo della formaldeide.

La formaldeide è un composto organico volatile (COV). Alla famiglia dei COV appartengono composti di diverse famiglie chimiche come idrocarburi, acetoni, alcoli, aldeidi ecc.

Tutti i COV hanno la proprietà comune d'evaporare facilmente a temperatura ambiente, e di diffondersi nell'aria sotto forma di gas. Generalmente sono incolore ma il loro odore è caratteristico.

Il tasso di concentrazione della formaldeide in ambienti abitati non dovrebbe superare i 0,125 mg per metro cubo. La formaldeide ha un’alta concentrazione anche nel fumo di tabacco.

Persone particolarmente sensibili possono accusare seri disturbi anche in presenza di quantità inferiori ai limiti fissati. I sintomi possono essere di vario tipo: irritazione e infiammazioni agli occhi (pruriti, lacrimazione), alle vie respiratorie (naso, gola, polmoni) e alla pelle (arrossamento, prurito, eczemi). Altri sintomi sono il manifestarsi di stanchezza, angosce, emicranie, nausea, sonnolenza o vertigini. A lungo andare si possono sviluppare vere e proprie allergie. L’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha dichiarato che la formaldeide, in alte concentrazioni, è cancerogena per l’uomo.

Ma da dove viene questa formaldeide? È presente in numerosi prodotti d'uso corrente: schiume isolanti, lacche, colle, vernici, inchiostri, resine, carta, prodotti per la pulizia, pesticidi, ecc. La maggior parte di tipi di legno agglomerato o compensato (mobilio, materiali da costruzione) ne contiene.

Ed è proprio di quella contenuta nei mobili che vogliamo parlare. La norma europea EN 120 prevede 3 classi distinte: E1, E2, o E3. La classe E1 identifica i pannelli legnosi con la più bassa emissione. La prima cosa da fare per tutelare la propria salute ed abbassare fino a quasi annullare il rischio formaldeide è quella di tenere gli ambienti di casa ben areati mantenendo un’umidità tra il 40 e il 60%. Può aiutare molto, inoltre, per neutralizzare la formaldeide, tenere in casa piante quali il ficus, la felce, lo spata filo, la dracena.

Ma, la mossa migliore per vivere in un ambiente salubre è quella di porre attenzione al momento dell’acquisto di un mobile o un qualsiasi altro complemento d’arredo. Purtroppo, il controllo di qualità su questo tipo di oggetti non esiste proprio e moltissime persone, visitando i grandi centri commerciali ed empori che traboccano di mobili e mobiletti provenienti dall’oriente (Cina, India ecc.), motivati dai prezzi talvolta veramente bassi, si lasciano andare ad acquisti d’impulso senza valutare a fondo i pericoli derivanti dalla mancanza assoluta di garanzia sui materiali e le vernici impiegate.

La cosa migliore da fare, quando si deve acquistare un mobile, è quella di rivolgersi ad un produttore conosciuto, che possa fornire le garanzie necessarie in fatto di materiali, collanti e vernici impiegate nei vari processi di lavorazione del mobile. Accanto a queste garanzie, è possibile ottenerne un’altra non meno importante: che il prodotto è stato realizzato in ambienti adatti alle specifiche lavorazioni richieste, e che la manodopera impiegata non deriva da lavoro infantile e non comporta alcuno sfruttamento dei lavoratori.

Il costo, molto probabilmente, risulterà più elevato rispetto un mobile “apparentemente” uguale.

Un’ottima soluzione per contenere la spesa è quella di ridurre notevolmente la filiera che porta il mobile nel punto vendita. Rivolgersi direttamente al produttore rappresenta il massimo del risparmio realizzabile.

http://www.styledesign.it/ è un sito di vendita di mobili stilizzati ad un prezzo non riscontrabile in nessun altro punto vendita. I mobili sono certificati in tutti i componenti come rispondenti alle norme attualmente in vigore in fatto di sicurezza e tutela del consumatore. Le realizzazioni avvengono interamente all’interno dell’azienda. Dalla progettazione all’imballaggio. Questo permette il massimo contenimento dei prezzi, a tutto vantaggio del cliente. Su http://www.styledesign.it/ i mobili sono costruiti e certificati con materiali E1. La lucidatura o laccatura sono tutte a base d’acqua. Sono mobili bellissimi che si possono tranquillamente posizionare all’interno di ogni abitazione senza rischi.


di Arteferretto