google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Vaccino anti Aids: a Firenze due importanti ricerche

Intervista col Professor Francesco Mazzotta
Viaggio in uno dei modelli della sanità toscana. Ospedale di Ponte a Niccheri, reparto di Malattie Infettive, dove fra il silenzio dei media si portano avanti due importanti ricerche per sconfiggere il virus dell'hiv.

Professor Mazzotta, abbiamo letto su dei flash d’agenzia che state reclutando persone per sperimentare un candidato vaccino anti-Aids. Detto così sembrava quasi un casting, ma siccome il tema è molto serio ed oggi di Aids se ne parla poco volevamo approfondire…

Eccoci. Partiamo proprio da qui. Ci terrei molto a dire proprio che oggi, l’hiv è una malattia dimenticata!

Ma come se n’è parlato così tanto in passato e anche a sproposito e poco adesso?

Ribadisco che oggi l’hiv è una malattia dimenticata perché passa l’idea che si guarisca, ma non è così. Anzi, sta succedendo che proprio per la scarsità d’informazione oggi ci siano più persone che s’infettano rispetto a qualche anno fa e il fatto più grave è che tante di queste persone nemmeno hanno coscienza di essere sieropositivi. Oggi una persona su due si presenta in ospedale quando ormai è in Aids ed allora è più difficile tamponare.
Prima si facevano più controlli, da noi in ospedale venivano molte più persone a fare i test. C’era più paura è vero, ma c’era anche più consapevolezza quando ad esempio, si azzardava un rapporto a rischio non protetto, almeno le persone si ponevano il problema!
Oggi non è più così. Badi bene che questo è anche un grosso costo sociale perché i farmaci anti hiv in Italia sono garantiti dal sistema sanitario, per cui facendo più prevenzione si può abbattere anche questa voce di spesa. Anche fra di voi della stampa non si trovano più tante persone che si pongano il problema di informare su questa malattia.

Parliamo di vaccini. In questi anni ne saranno stati provati moltissimi immagino?

Sì, ma purtroppo ancora non abbiamo individuato quello giusto. Nessuno si è dimostrato fin’oggi in grado di prevenire o curare l’infezione.

Voi vi state occupando direttamente di vaccini?

Sì, stiamo lavorando su due candidati vaccini. Uno è quello che parte da uno studio nostro e si basa sull’osservazione di un gruppo numeroso di soggetti che si sono esposti per propria volontà all’hiv, sia in Italia che in Africa. Abbiamo osservato alla fine che alcuni di questi soggetti non si sono contagiati. E’stato allora interessante studiare e cercare di capire perché queste persone, pur essendo entrate in contatto diretto col virus, non si fossero infettate.
Quale la loro caratteristica di difesa naturale che gli differenzia dagli altri soggetti? Da questa domanda è partita la nostra ricerca, che è stata finanziata dalla Regione Toscana e siamo arrivati alla deduzione che in questi soggetti c’è una particolare risposta al virus a livello delle vie genitali: nelle donne a livello della vagina e negli uomini a livello dell’uretra. Qui ci sono degli anticorpi, detti di mucosa, che bloccano il virus.
Allora ci siamo chiesti perché questo avvenisse in alcune persone ed in altre no? Così siamo andati avanti cercando di capire se ci fosse qualche gene particolare a determinare questa cosa. Del resto, per assonanza una cosa analoga era capitata in una sperimentazione su dei topolini e lì si era scoperto il gene responsabile del fenomeno. Così la nostra clinica ha operato insieme agli immunologi del professor Clerici di Milano che hanno individuato questa particolare risposta e poi ci siamo appoggiati agli scienziati di genetica dell’Università di Osaka e alla fine siamo riusciti a trovare sull’uomo quel gene che, come sul topo, caratterizza questa risposta immunitaria. Se questo verrà accertato dalla comunità internazionale è chiaro che da quel momento potrà partire una ricerca più mirata per capire come utilizzare questa scoperta. Come creare un vaccino, che attraverso dei preparati da iniettare ad esempio localmente nelle persone che si espongo al rischio d’infezione, si possa stimolare la produzione di quegli anticorpi.
Non è una corsa facile. Ad oggi la nostra scoperta è già stata accertata da una rivista di un certo valore e adesso siamo in attesa della risposta di Nature Medicine. Speriamo vada bene, per noi sarebbe un conforto importante ai nostri studi ed uno stimolo ad andare avanti. Gli scienziati sono entusiasti, ma noi medici siamo sempre più prudenti.
Siamo ad una svolta perché poi da lì , potremmo partire con una sperimentazione che come sa passa attraverso più fasi.

Quanti anni ci vorranno?

Dal momento in cui siamo adesso si può dire dieci/quindici anni, però tutto dipenderà dall’entità dei finanziamenti. Del resto deve sapere che nell’hiv è successa una cosa mai successa prima in medicina. Gli investimenti fatti sui farmaci e la diagnostica hanno portato in tempi brevi a scoperte enormi che hanno avuto grosse ripercussioni su tutta la medicina. Oggi per qualsiasi ricerca ci si rifà sempre ai cosidetti metodi indiretti generati dalla ricerca sull’hiv.
L’hiv in medicina corrisponde più o meno allo sbarco dell’uomo sulla Luna. Un’avvenimento epocale che ha avuto ampie ripercussioni. Se a questo si aggiunge l’entità degli investimenti si può affermare che è stato possibile in pochi anni, portare avanti ricerche che in altri tempi avrebbero richiesto molti più anni.

E l’altro vaccino? Quello di cui state cercando candidati volontari alla sperimentazione?

In questo caso siamo in una fase più avanzata dei lavori. E’ questo il vaccino dell’Istituto Superiore di Sanità della dottoressa Barbara Ensoli che si basa su una proteina che inibisce la replicazione virale. Per questo candidato vaccino è stata già brillantemente superata la fase I (non è tossica) e la fase II (cercare il dosaggio giusto). Ora siamo ad una fase che si chiama II b, ovvero di allargamento di sperimentazione a tre a dieci italiani in tutto. Praticamente si cercano le conferme dei grandi numeri.
Adesso stiamo cercando di individuare chi ha determinati anticorpi per stimolarli. Può sembrare una contraddizione il cercare soggetti che abbiamo già questi anticorpi, detti neutralizzanti, ma se questi sono presenti in persone sieropositive vuol dire che non stanno funzionando.
Probabilmente ne hanno una quantità non sufficiente ed ecco così che il vaccino sarà utilizzato nei sieropositivi per stimolare la produzione di questi anticorpi. In questo caso quindi, il vaccino sarà quindi teraupetico.
Dopo questa prima fase di screening, fra due/tre mesi circa, partiremo con la sperimentazione vera e propria.

Come reclutate queste persone?

Con un numero telefonico dedicato che abbiamo attivato insieme all’Istituto Superiore di Sanità, dove personale specializzato risponderà ai sieropisitivi che vogliono informazioni e prendere poi magari un appuntamento.

Non sarà un vaccino anche preventivo allora?

In questo momenti sono due gli studi in atto. Quello che si svilupperà qui da noi in Italia che gli ha appena illustrato.
Un altro parte invece in Africa e arriverà qui da noi solo in un secondo momento. Si tratterà di stimolare anche su soggetti sieronegativi questa risposta immunitaria per dimostrare che con questa protezione naturale, quando s’incontra il virus hiv non ci s’infetta.
Ecco perché lo studio adesso viene fatto solo in Africa dove, ahimè non c’è accesso ai farmaci e l’unica possibile forma di prevenzione è questa. Anzi, ci tengo a dire che il mio gruppo è stato richiesto dall’Istituto Superiore di Sanità anche per operare in Africa perché qui da noi ci sono molti medici che oltre ad essere bravi sono abituati a gestire, avendoci lavorato anni, anche le relazioni in quel continente.

Professore ci credete molto a questo candidato vaccino?

Come saprete questo progetto della Ensoli è ed è stato molto contestato culturalmente sia adesso che in passato, ma noi ci crediamo molto. Concettualmente l’approccio ci piace. Non so se segneremo il gol, ma sono certo che non sarà aria fritta.

Responsabile della pubblicazione: Nadia Fondelli

Ricostruzione del seno con lipofilling dopo quadrantectomia

Una nuova tecnica chirurgica in grado di riempire il volume del quadrante mancante dopo quadrantectomia è ormai realtà.
Grazie alla tecnica del lipofilling, prelevando cioè il tessuto adiposo dalla stessa persona di solito dalle cosce esterne o dall’addome e reinserendolo nella stessa seduta nel quadrante mancante.

Come si svolge l’intervento?

Diciamo che è una tecnica abbastanza semplice e veloce da effettuarsi in anestesia locale in day-surgery. Si aspira innanzitutto del grasso dalle zone esterne delle cosce o dal pannicolo adiposo dell’addome attraverso una piccola cannula. Quindi il grasso asportato viene messo in una speciale provetta per poi essere centrifugato attraverso una speciale apparecchiatura per ottenere un grasso concentrato e separato dagli elementi del sangue.
Qundi una volta riempita la siringa. Attraverso una piccola cannula viene inserito nel quadrante interessato, fino ad aumentare il volume mancante. Tale procedimento si può ripetere a distanza di alcune settimane qualora sia molto il volume da riempire. Tale metodica garantisce un buon riempimento con normale e naturale morbidezza del seno.
Per essere sottoposti a tale intervento è bene effettuare una visita preliminare per valutare la condizione della malattia e la situazione anatomica.

Per maggiori informazioni

docente in Chirurgia Generale e Ricostruttiva
Dipartimento di Scienze Chirurgiche
Policlinico Umberto I-Roma

tel.06/49973164
cell. 339.6166430

Medicina 33: Diabete nell'anziano e rischi cardiovascolari

Il Presidente della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare, Professor Massimo Volpe, intervistato da Luciano Onder a Tg2 Medicina 33.



Libri Consigliati:
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- Cucina Rapida per chi ha il Diabete di Zanin Patrizia Ordina su Librisalus.it
- Crudo & Semplice (DVD) di Ortner Alex Ordina su Librisalus.it
- Diabete, Le risposte a tutte le vostre domande di Walker Rosemary, Rodgers Jill Ordina su Librisalus.it

Medicina 33: Il Melanoma - prevenzione e diagnosi precoce

Intervista al dott. Giovanni Di Lella, dermatologo all' IDI di Roma, su prevenzione e diagnosi precoce, controllo dei nei, epiluminescenza, tumori della pelle e danni da sole.

Medicina 33: diagnosi precoce del Tumore al Seno

intervista alla Dottoressa Pesce a Medicina 33 sulle nuove tecnologie del reparto di senologia della Clinica Paideia



Libri Consigliati:

- Cancro Spa di Pamio Marcello Ordina su Librisalus.it
- La rivoluzione silenziosa della medicina del cancro e dell'aids di Kremer Heinrich Ordina su Librisalus.it
- Guarire dal Cancro di Anderson Mike Ordina su Librisalus.it
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- Come proteggersi dal cancro con l'alimentazione di Stella Carmela Ordina su Librisalus.it
- Curare con il Calore: la Terapia Dolce dei Tumori di Pontiggia Paolo Ordina su Librisalus.it
- Infiammazioni. I Killer Nascosti di Döll Michaela Ordina su Librisalus.it
- Il Fattore Enzima di Shinya Hiromi Ordina su Librisalus.it
- Viscum Album e cura oncologica di Legnani Walter Ordina su Librisalus.it
- Si fa presto a dire chemio di Rossi Paola Ordina su Librisalus.it
- Introduzione alla Comprensione delle Cinque Leggi Biologiche scoperte dal Dr. Ryke Geerd Hamer di Associazione A.L.B.A. Ordina su Librisalus.it
- Guida alla Risoluzione dei Conflitti a partire dal metodo Hamer di Pizzi Marco, Spreafichi Alessandro Ordina su Librisalus.it

L'Anoressia e la dipendenza dal digiuno

Di solito la restrizione verso i cibi è progressiva: essendo le calorie il problema, il paziente anoressico comincerà a rifiutare prima i lipidi- i cibi grassi, dunque carne, formaggi uova- poi i carboidrati- come pasta, pane e simili- fino a ridurre la propria dieta a pochi alimenti in genere dallo scarso contenuto energetico. Nei casi più gravi, per evitare la sensazione di gonfiore, possono giungere al rifiuto dei liquidi (le pazienti smettono di bere) con conseguenze devastanti per l’organismo: dopo due giorni di privazione di liquidi, sopraggiunge la morte in quanto le cellule non riescono più a promuovere le reazioni chimiche fondamentali per mantenere l’omeostasi. Uno dei comportamenti più comuni è il vomito autoindotto subito dopo i pasti volto ad evitare l’assorbimento dei nutrienti, oppure l’assunzione di grandi dosi di lassativi per liberarsi dei liquidi in eccesso. Il vomito è molto rischioso, in quanto causa la dilatazione dei vasi a livello della gola che, col passare del tempo, possono ledersi causando il “vomito di sangue” che può avere gravi conseguenze. Per quanto riguarda i lassativi, soprattutto se coniugati a dieta ricca di fibre, il rischio è di avere complicazioni a livello intestinale che possono portare a problemi di contrattilità dell’intestino e nei casi più gravi prolasso rettale.
Oggi si parla molto di anoressia, sembra che in questi ultimi tempi la malattia si sia diffusa notevolmente raggiungendo persino le preadolescenti. Come spiegare questo aumento? Nonostante il disturbo sia presente sin dai tempi antichi (alcuni studiosi ritengono che gli asceti medievali non fossero altro che anoressici), al giorno d’oggi assistiamo ad un aumento notevole di casi, ed il dato più preoccupante riguarda gli esordi premenarca, cioè prima della comparsa della prima mestruazione. Una deprivazione alimentare così precoce può portare a esiti disastrosi come l’inibizione, rallentamento o addirittura blocco dello sviluppo sessuale. Studi di genetica del comportamento rivelano che il disturbo ha alla base una suscettibilità genetica, e che quindi la colpa non sia da addossare completamente ai mass media ed alla visione di bellezza femminile che propongono, nonostante un ambiente con tali caratteristiche possa favorirne la slatentizzazione.
Ma come si instaura il meccanismo di rifiuto del cibo? Quello che è certo, è che viene coinvolto il circuito dopaminergico di reward, cioè la rete cerebrale con ruolo centrale nel rinforzo di risposte adattive all’ambiente, nel promuovere cioè comportamenti che favoriscano la sopravvivenza dell’individuo. Sono le stesse aree che stimolano alcune droghe causando così dipendenza. Vista questa considerazione alcuni studiosi parlano di dipendenza da privazione: è questo fenomeno infatti che rende le pazienti anoressiche capaci di resistere alla fame. Inoltre, l’organismo privo di cibo mette in atto delle strategie che, in condizioni naturali, dovrebbero massimizzare le possibilità di sopravvivenza, e che consistono nell’innalzare il livello di funzionamento rendendo il soggetto iperattivo, facendolo sentire pieno di energie. Uno studio dell’ottobre dello scorso anno condotto da Valerie Compan del CNRS di Montpellier, ha paragonato gli effetti della deprivazione di cibo con gli effetti di una delle droghe stimolanti più diffuse tra i giovani, l’ecstasy, cogliendo una somiglianza notevole: i topi che avevano assunto la droga rifiutavano il cibo quando gli veniva offerto. E non è solo una questione di cibo. L’alterazione dei circuiti di reward sembra avere effetti più a largo raggio, impendendo persino di provare piacere per altre attività, non ultimo il sesso.
La difficoltà di godere dei piaceri della vita inoltre spesso coincide con altri tratti personologici che contraddistinguono gli anoressici, nel 80%-90% prima dell’esordio del disturbo presentavano disturbi d’ansia e spesso, per il loro perfezionismo e per i rituali che mettono in atto al fine di tenere a bada l’ansia, vengono accostati agli affetti da disturbo ossessivo compulsivo.
Dagli anni sessanta sono stati provati molti farmaci per tentare di guarire questi pazienti, compresi antipsicotici- che in genere vengono utilizzati per la cura di malattie psichiatriche gravi come la schizofrenia- ed i tanto discussi antidepressivi, ma, nonostante molti psichiatri consiglino una terapia fondata sula farmacologia ponendo l’accento sulle componenti biologiche del disturbo, la ricerca non ha ancora individuato un composto che possa sortire effetti rilevanti.
Per quanto riguarda le psicoterapie, negli ultimi anni si è data grande importanza alle terapie di gruppo di stampo sistemico relazionale, che si focalizzano non sul singolo soggetto, ma sul tutto il nucleo familiare, intendendo la malattia di uno come l’espressione di un disagio proprio del sistema famiglia. Questo tipo di approccio in genere restituisce buoni risultati. Si è inoltre ricorso ai cosiddetti gruppi di mutuo aiuto, nei quali il terapeuta assume il ruolo di facilitatore, una figura che promuove il dialogo all’interno del gruppo, così che si possano condividere difficoltà, attriti ed incomprensioni.
Nei casi più gravi è consigliato il ricovero del paziente in ospedale, in modo che possa essere assistito costantemente. Per patologie come l’anoressia, se la situazione si fa critica, in Italia è ammesso il TSO, o Trattamento Sanitario Obbligatorio, cioè il ricovero della persona anche nel caso in cui questa non ne sia consapevole o non sia consenziente.


Pubblicato da:
Emanuele Tolomei

di espertoseo.it

Chirurgia estetica non invasiva: le caratteristiche del Botulino.

Sono bastati appena pochi giorni perche' l'allarme nato su internet e sui giornali intorno alla tossina botulinica, in maniera a dir poco superficiale, avesse termine. Una bufala senza alcun fondamento. Nota da anni in chirurgia neurologica, la tossina botulinica di tipo A e' oggi il trattamento di medicina estetica preferito dagli italiani che ne sono anche i maggiori fruitori al mondo, come confermano i dati di una recente indagine condotta dalla societa' londinese Research International.
Una pietra miliare nel progresso della medicina estetica che evidenzia una tendenza sempre piu' forte: la voglia di trattamenti dolci e accessibili ma altamente efficaci. Il suo meccanismo d'azione, piu' che noto agli addetti ai lavori, e' chimicamente semplice: bloccando il rilascio di acetilcolina, la tossina botulinica impedisce che l'impulso nervoso giunga a destinazione. E il suo impiego in campo medico-estetico e' geniale: ''si va dal ringiovanimento del viso e del collo all'effetto lifting – chiarisce il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova - fino al trattamento della sudorazione eccessiva, l'iperidrosi, patologia che spesso viene trascurata dal medico di base. Il trattamento con il botulino contro le rughe d'espressione e' stato il primo utilizzo cosmetico approvato in Italia dal Ministero della Sanita', ed e' anche il piu' eseguito. Attraverso opportune inoculazioni della tossina diluita, si tratta la zona glabellare ottenendo una parziale e selettiva riduzione dell'attivita' di alcuni muscoli mimici''. La cui azione e' molto importante perche' si sa che l'eccessiva mimica facciale e' a lungo andare la principale causa della formazione delle rughe d'espressione. ''Infatti – prosegue il dottor Pallaoro – se in un soggetto giovane la pelle segue il movimento muscolare contraendosi e decontraendosi completamente, con il passare degli anni la cute non e' piu' in grado di distendersi, avendo anche perso parte delle sostanze che ne garantiscono l'elasticita'. Ecco che l'azione della tossina botulinica ha un duplice effetto: da una parte rilassa e distende la pelle e dall'altra riveste una sorta di azione preventiva nei confronti delle rughe mimiche''.
Si e' quindi giunti a credere che il ricorso alla tossina botulinica costituisca una forma di lifting non chirurgicoUna sua caratteristica peculiare e' la versatilita' estrema nel campo del ringiovanimento e modellamento del viso. Un effetto molto interessante che si puo' ottenere e' il sollevamento della coda del sopracciglio, una sorta di lifting non chirurgico molto d'effetto per una zona focale del viso, come lo sguardo. ''Con l'inoculazione precisa della tossina in alcuni punti della zona glabellare – espone il dottor Pallaoro – si induce la muscolatura mimica a una particolare azione di compensazione che produce appunto il sollevamento dell'arcata sopracciliare. L'effetto e' molto gradevole, perche' lo sguardo e' reso piu' aperto e sensuale e l'occhio appare ingrandito''. Un grande vantaggio della tossina rispetto a procedure chirurgiche piu' radicali, e' poi il costo contenuto:

''Questo fattore – continua lo specialista - unito alla reversibilita' completa dei risultati spinge molte persone, anche non certo anziane, a provare l'effetto del botulino, quasi come un cambio di look momentaneo o ritocco dell'ultimo minuto prima di un evento speciale''. Un altro campo di applicazione e' il ringiovanimento del collo, una zona che subisce precocemente l'attacco del tempo. I movimenti continui cui e' sottoposto, infatti, e la sottigliezza della cute sono fattori che certo non avvantaggiano. ''L'iniezione di piccole unita' di tossina botulinica possono distendere la parte provocando lo stiramento cutaneo'', specifica il dottor Pallaoro, ''ma la delicatezza e la particolarita' del collo ne fanno una zona dove l'uso del botulino e' riservato solamente a specialisti con molta esperienza''.

L'impiego della tossina botulinica purificata di tipo A, infatti, negli ultimi tempi e' stata spesso oggetto di discussioni anche molto accese e dei polveroni mediatici gia' ricordati, che la additavano come dannosa e causa di notevoli problemi per l'organismo. La comunita' scientifica ha puntualmente smentito tutte le voci, ma un dubbio potrebbe restare: il botulino resta pur sempre uno dei peggiori veleni esistenti. ''Il primo punto da sottolineare e' che le dosi di principio attivo impiegate per i trattamenti di medicina estetica sono davvero minime'', specifica lo specialista, ''e l'effetto paralizzante e' circoscritto nella zona di iniezione, quindi del tutto sicuro per la vita del paziente, anche in una parte estremamente delicata come il collo. Posto cio', e' molto importante ribadire che pur essendo teoricamente interventi semplici, le iniezioni di tossina botulinica devono essere sempre realizzate da specialisti competenti ed esperti, onde evitare spiacevoli conseguenze, come asimmetrie e ptosi di alcune zone, che comunque sono temporanee. Inoltre, anche il farmaco impiegato deve essere esclusivamente quello approvato dal Ministero della Sanita'''. Un utilizzo della tossina botulinica non propriamente per fini cosmetici e' invece la terapia contro la sudorazione eccessiva. Questo e' un problema che solo marginalmente e' di carattere estetico-psicologico, a causa del grande imbarazzo che prova chi e' costretto a sfoggiare abiti costantemente macchiati di sudore, oppure si rifiuta di stringere mani e compiere lavori manuali a causa dei palmi sempre freddi e umidicci. L'iperidrosi, pur essendo sottovalutata, e' una patologia socialmente invalidante, con una grossa componente emotiva. In questo particolare trattamento il blocco colinergico provocato dalla tossina impedisce che l'impulso nervoso sia portato alla ghiandola, annullando quindi la reazione della sudorazione, pur senza ledere alcun organo. ''Fino a pochi anni fa il trattamento d'elezione per risolvere l'iperidrosi era di tipo chirurgico, con l'escissione di una porzione ghiandolare – precisa il dottor Pallaoro – ma questa procedura, pur essendo ancora impiegata in alcuni casi, come l'iperidrosi ascellare, non e' ottimale per la sudorazione eccessiva di zone sensibili come le mani e i piedi''. Il trattamento con le infiltrazioni di tossina botulinica, quindi, si rivela la soluzione ideale perche' lascia integra la ghiandola, non ha effetti collaterali ed e' ripetibile nel tempo senza controindicazioni. Il trattamento con la tossina botulinica avviene ambulatorialmente, senza anestesia e addirittura senza particolari accertamenti, come esami diagnostici. ''Le infiltrazioni sono realizzate in loco attraverso sottili aghi secondo schemi consoni, secondo l'effetto che si desidera ottenere'' - conclude il dottor Carlo Alberto Pallaoro - ''Al termine del trattamento, della durata di circa un quarto d'ora, il paziente puo' tornare immediatamente alle attivita' usuali, sen­za indicazioni particolari e senza segni visibili. Al massimo, se si tratta di una zona esposta come il viso, puo' applicare del ghiaccio per favorire la scomparsa del lieve rossore. L'ef­fetto sara' visibile nel­l'arco di 4 o 5 giorni e perdurera' per un lasso di 2-6 mesi, per poi scemare gradualmente. Le sedute sono quindi ripetibili nel tempo in tutta sicurezza, anche piu' volte l'anno a patto che, ricordiamolo, siano eseguite da mani competenti''.

Responsabile della pubblicazione:


Mario Luigi Pallaoro
di Pallaoro Medical Laser snc

La nascita di un Tumore

Identificate e riprodotte in laboratorio le alterazioni del genoma che provocano i tumori.
L'importante scoperta, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America (PNAS) e presentata in Spagna nei giorni scorsi al congresso internazionale dell’European Molecular Biology Organization (EMBO), è frutto delle ricerche svolte dal genetista Carlo V. Bruschi, responsabile del Laboratorio di Genetica Molecolare del Lievito del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste.
Bruschi e la sua équipe sono riusciti a riprodurre in vivo, usando come modello le cellule del lievito, alcune “traslocazioni cromosomiche” (il collegamento di parti di due cromosomi diversi) e a studiare in dettaglio il modo in cui esse possono fare "impazzire" le cellule.
La scoperta potrebbe essere importante per comprendere come avvengano alcuni dei momenti cruciali della nascita di un tumore, dal concepimento ai “primi passi”.
«Benché fosse da tempo evidente una correlazione tra questo tipo di anomalie genetiche e insorgenza di cellule cancerose e benché fosse in parte conosciuto il meccanismo molecolare che causa le traslocazioni - spiega Bruschi - finora non era chiaro se una traslocazione cromosomica fosse l’origine del tumore o se, invece, ne fosse una conseguenza. Questo perché si possono osservare solo casi di pazienti già affetti da tumore, nelle cui cellule esiste ormai una particolare traslocazione. In pratica, queste osservazioni avvengono quando è ormai troppo tardi per stabilire una relazione di causa ed effetto».
I ricercatori triestini hanno applicato ad alcune cellule di lievito non precedentemente mutate una tecnica chiamata BIT (Bridge-Induced Translocation), sviluppata dallo stesso Bruschi con Valentina Tosato nel 2005, capace di indurre traslocazioni tra cromosomi diversi. I risultati hanno rivelato aumenti nell’espressione genica sia in prossimità del sito interessato dalla traslocazione, sia nei geni che si trovano in cromosomi non coinvolti nell’evento.
«E’ come poter assistere all’evento in diretta, provocandolo e osservandone gli effetti sul nascere» sottolinea Bruschi, esperto internazionale di genomica del lievito e coordinatore nazionale della società scientifica italiana del lievito ZYMI (Zestful Yeast Model system in Italy). «I lieviti sottoposti al BIT mostrano numerose anomalie morfologiche che li fanno assomigliare a cellule invasive. E’ possibile rilevare già al microscopio difetti drammatici nella loro divisione cellulare, inibizione della crescita, mortalità cellulare, formazione di aggregati cellulari e variazioni nella dimensione e nella forma».
Le cellule di Saccharomyces cerevisiae (il comune lievito usato per la panificazione, la vinificazione e la produzione della birra), il cui DNA è stato completamente sequenziato fin dal 1996, risultano essere un ottimo modello per studiare il fenomeno, poichè sono molto simili alle cellule di mammifero e allo stesso tempo sono facilmente manipolabili con l’ingegneria genetica.

Responsabile della pubblicazione: Monica Rio di Globo