google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 SALUTIAMOCI google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Medicina 33: diagnosi precoce del Tumore al Seno

intervista alla Dottoressa Pesce a Medicina 33 sulle nuove tecnologie del reparto di senologia della Clinica Paideia



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L'Anoressia e la dipendenza dal digiuno

Di solito la restrizione verso i cibi è progressiva: essendo le calorie il problema, il paziente anoressico comincerà a rifiutare prima i lipidi- i cibi grassi, dunque carne, formaggi uova- poi i carboidrati- come pasta, pane e simili- fino a ridurre la propria dieta a pochi alimenti in genere dallo scarso contenuto energetico. Nei casi più gravi, per evitare la sensazione di gonfiore, possono giungere al rifiuto dei liquidi (le pazienti smettono di bere) con conseguenze devastanti per l’organismo: dopo due giorni di privazione di liquidi, sopraggiunge la morte in quanto le cellule non riescono più a promuovere le reazioni chimiche fondamentali per mantenere l’omeostasi. Uno dei comportamenti più comuni è il vomito autoindotto subito dopo i pasti volto ad evitare l’assorbimento dei nutrienti, oppure l’assunzione di grandi dosi di lassativi per liberarsi dei liquidi in eccesso. Il vomito è molto rischioso, in quanto causa la dilatazione dei vasi a livello della gola che, col passare del tempo, possono ledersi causando il “vomito di sangue” che può avere gravi conseguenze. Per quanto riguarda i lassativi, soprattutto se coniugati a dieta ricca di fibre, il rischio è di avere complicazioni a livello intestinale che possono portare a problemi di contrattilità dell’intestino e nei casi più gravi prolasso rettale.
Oggi si parla molto di anoressia, sembra che in questi ultimi tempi la malattia si sia diffusa notevolmente raggiungendo persino le preadolescenti. Come spiegare questo aumento? Nonostante il disturbo sia presente sin dai tempi antichi (alcuni studiosi ritengono che gli asceti medievali non fossero altro che anoressici), al giorno d’oggi assistiamo ad un aumento notevole di casi, ed il dato più preoccupante riguarda gli esordi premenarca, cioè prima della comparsa della prima mestruazione. Una deprivazione alimentare così precoce può portare a esiti disastrosi come l’inibizione, rallentamento o addirittura blocco dello sviluppo sessuale. Studi di genetica del comportamento rivelano che il disturbo ha alla base una suscettibilità genetica, e che quindi la colpa non sia da addossare completamente ai mass media ed alla visione di bellezza femminile che propongono, nonostante un ambiente con tali caratteristiche possa favorirne la slatentizzazione.
Ma come si instaura il meccanismo di rifiuto del cibo? Quello che è certo, è che viene coinvolto il circuito dopaminergico di reward, cioè la rete cerebrale con ruolo centrale nel rinforzo di risposte adattive all’ambiente, nel promuovere cioè comportamenti che favoriscano la sopravvivenza dell’individuo. Sono le stesse aree che stimolano alcune droghe causando così dipendenza. Vista questa considerazione alcuni studiosi parlano di dipendenza da privazione: è questo fenomeno infatti che rende le pazienti anoressiche capaci di resistere alla fame. Inoltre, l’organismo privo di cibo mette in atto delle strategie che, in condizioni naturali, dovrebbero massimizzare le possibilità di sopravvivenza, e che consistono nell’innalzare il livello di funzionamento rendendo il soggetto iperattivo, facendolo sentire pieno di energie. Uno studio dell’ottobre dello scorso anno condotto da Valerie Compan del CNRS di Montpellier, ha paragonato gli effetti della deprivazione di cibo con gli effetti di una delle droghe stimolanti più diffuse tra i giovani, l’ecstasy, cogliendo una somiglianza notevole: i topi che avevano assunto la droga rifiutavano il cibo quando gli veniva offerto. E non è solo una questione di cibo. L’alterazione dei circuiti di reward sembra avere effetti più a largo raggio, impendendo persino di provare piacere per altre attività, non ultimo il sesso.
La difficoltà di godere dei piaceri della vita inoltre spesso coincide con altri tratti personologici che contraddistinguono gli anoressici, nel 80%-90% prima dell’esordio del disturbo presentavano disturbi d’ansia e spesso, per il loro perfezionismo e per i rituali che mettono in atto al fine di tenere a bada l’ansia, vengono accostati agli affetti da disturbo ossessivo compulsivo.
Dagli anni sessanta sono stati provati molti farmaci per tentare di guarire questi pazienti, compresi antipsicotici- che in genere vengono utilizzati per la cura di malattie psichiatriche gravi come la schizofrenia- ed i tanto discussi antidepressivi, ma, nonostante molti psichiatri consiglino una terapia fondata sula farmacologia ponendo l’accento sulle componenti biologiche del disturbo, la ricerca non ha ancora individuato un composto che possa sortire effetti rilevanti.
Per quanto riguarda le psicoterapie, negli ultimi anni si è data grande importanza alle terapie di gruppo di stampo sistemico relazionale, che si focalizzano non sul singolo soggetto, ma sul tutto il nucleo familiare, intendendo la malattia di uno come l’espressione di un disagio proprio del sistema famiglia. Questo tipo di approccio in genere restituisce buoni risultati. Si è inoltre ricorso ai cosiddetti gruppi di mutuo aiuto, nei quali il terapeuta assume il ruolo di facilitatore, una figura che promuove il dialogo all’interno del gruppo, così che si possano condividere difficoltà, attriti ed incomprensioni.
Nei casi più gravi è consigliato il ricovero del paziente in ospedale, in modo che possa essere assistito costantemente. Per patologie come l’anoressia, se la situazione si fa critica, in Italia è ammesso il TSO, o Trattamento Sanitario Obbligatorio, cioè il ricovero della persona anche nel caso in cui questa non ne sia consapevole o non sia consenziente.


Pubblicato da:
Emanuele Tolomei

di espertoseo.it

Chirurgia estetica non invasiva: le caratteristiche del Botulino.

Sono bastati appena pochi giorni perche' l'allarme nato su internet e sui giornali intorno alla tossina botulinica, in maniera a dir poco superficiale, avesse termine. Una bufala senza alcun fondamento. Nota da anni in chirurgia neurologica, la tossina botulinica di tipo A e' oggi il trattamento di medicina estetica preferito dagli italiani che ne sono anche i maggiori fruitori al mondo, come confermano i dati di una recente indagine condotta dalla societa' londinese Research International.
Una pietra miliare nel progresso della medicina estetica che evidenzia una tendenza sempre piu' forte: la voglia di trattamenti dolci e accessibili ma altamente efficaci. Il suo meccanismo d'azione, piu' che noto agli addetti ai lavori, e' chimicamente semplice: bloccando il rilascio di acetilcolina, la tossina botulinica impedisce che l'impulso nervoso giunga a destinazione. E il suo impiego in campo medico-estetico e' geniale: ''si va dal ringiovanimento del viso e del collo all'effetto lifting – chiarisce il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia plastica a Padova - fino al trattamento della sudorazione eccessiva, l'iperidrosi, patologia che spesso viene trascurata dal medico di base. Il trattamento con il botulino contro le rughe d'espressione e' stato il primo utilizzo cosmetico approvato in Italia dal Ministero della Sanita', ed e' anche il piu' eseguito. Attraverso opportune inoculazioni della tossina diluita, si tratta la zona glabellare ottenendo una parziale e selettiva riduzione dell'attivita' di alcuni muscoli mimici''. La cui azione e' molto importante perche' si sa che l'eccessiva mimica facciale e' a lungo andare la principale causa della formazione delle rughe d'espressione. ''Infatti – prosegue il dottor Pallaoro – se in un soggetto giovane la pelle segue il movimento muscolare contraendosi e decontraendosi completamente, con il passare degli anni la cute non e' piu' in grado di distendersi, avendo anche perso parte delle sostanze che ne garantiscono l'elasticita'. Ecco che l'azione della tossina botulinica ha un duplice effetto: da una parte rilassa e distende la pelle e dall'altra riveste una sorta di azione preventiva nei confronti delle rughe mimiche''.
Si e' quindi giunti a credere che il ricorso alla tossina botulinica costituisca una forma di lifting non chirurgicoUna sua caratteristica peculiare e' la versatilita' estrema nel campo del ringiovanimento e modellamento del viso. Un effetto molto interessante che si puo' ottenere e' il sollevamento della coda del sopracciglio, una sorta di lifting non chirurgico molto d'effetto per una zona focale del viso, come lo sguardo. ''Con l'inoculazione precisa della tossina in alcuni punti della zona glabellare – espone il dottor Pallaoro – si induce la muscolatura mimica a una particolare azione di compensazione che produce appunto il sollevamento dell'arcata sopracciliare. L'effetto e' molto gradevole, perche' lo sguardo e' reso piu' aperto e sensuale e l'occhio appare ingrandito''. Un grande vantaggio della tossina rispetto a procedure chirurgiche piu' radicali, e' poi il costo contenuto:

''Questo fattore – continua lo specialista - unito alla reversibilita' completa dei risultati spinge molte persone, anche non certo anziane, a provare l'effetto del botulino, quasi come un cambio di look momentaneo o ritocco dell'ultimo minuto prima di un evento speciale''. Un altro campo di applicazione e' il ringiovanimento del collo, una zona che subisce precocemente l'attacco del tempo. I movimenti continui cui e' sottoposto, infatti, e la sottigliezza della cute sono fattori che certo non avvantaggiano. ''L'iniezione di piccole unita' di tossina botulinica possono distendere la parte provocando lo stiramento cutaneo'', specifica il dottor Pallaoro, ''ma la delicatezza e la particolarita' del collo ne fanno una zona dove l'uso del botulino e' riservato solamente a specialisti con molta esperienza''.

L'impiego della tossina botulinica purificata di tipo A, infatti, negli ultimi tempi e' stata spesso oggetto di discussioni anche molto accese e dei polveroni mediatici gia' ricordati, che la additavano come dannosa e causa di notevoli problemi per l'organismo. La comunita' scientifica ha puntualmente smentito tutte le voci, ma un dubbio potrebbe restare: il botulino resta pur sempre uno dei peggiori veleni esistenti. ''Il primo punto da sottolineare e' che le dosi di principio attivo impiegate per i trattamenti di medicina estetica sono davvero minime'', specifica lo specialista, ''e l'effetto paralizzante e' circoscritto nella zona di iniezione, quindi del tutto sicuro per la vita del paziente, anche in una parte estremamente delicata come il collo. Posto cio', e' molto importante ribadire che pur essendo teoricamente interventi semplici, le iniezioni di tossina botulinica devono essere sempre realizzate da specialisti competenti ed esperti, onde evitare spiacevoli conseguenze, come asimmetrie e ptosi di alcune zone, che comunque sono temporanee. Inoltre, anche il farmaco impiegato deve essere esclusivamente quello approvato dal Ministero della Sanita'''. Un utilizzo della tossina botulinica non propriamente per fini cosmetici e' invece la terapia contro la sudorazione eccessiva. Questo e' un problema che solo marginalmente e' di carattere estetico-psicologico, a causa del grande imbarazzo che prova chi e' costretto a sfoggiare abiti costantemente macchiati di sudore, oppure si rifiuta di stringere mani e compiere lavori manuali a causa dei palmi sempre freddi e umidicci. L'iperidrosi, pur essendo sottovalutata, e' una patologia socialmente invalidante, con una grossa componente emotiva. In questo particolare trattamento il blocco colinergico provocato dalla tossina impedisce che l'impulso nervoso sia portato alla ghiandola, annullando quindi la reazione della sudorazione, pur senza ledere alcun organo. ''Fino a pochi anni fa il trattamento d'elezione per risolvere l'iperidrosi era di tipo chirurgico, con l'escissione di una porzione ghiandolare – precisa il dottor Pallaoro – ma questa procedura, pur essendo ancora impiegata in alcuni casi, come l'iperidrosi ascellare, non e' ottimale per la sudorazione eccessiva di zone sensibili come le mani e i piedi''. Il trattamento con le infiltrazioni di tossina botulinica, quindi, si rivela la soluzione ideale perche' lascia integra la ghiandola, non ha effetti collaterali ed e' ripetibile nel tempo senza controindicazioni. Il trattamento con la tossina botulinica avviene ambulatorialmente, senza anestesia e addirittura senza particolari accertamenti, come esami diagnostici. ''Le infiltrazioni sono realizzate in loco attraverso sottili aghi secondo schemi consoni, secondo l'effetto che si desidera ottenere'' - conclude il dottor Carlo Alberto Pallaoro - ''Al termine del trattamento, della durata di circa un quarto d'ora, il paziente puo' tornare immediatamente alle attivita' usuali, sen­za indicazioni particolari e senza segni visibili. Al massimo, se si tratta di una zona esposta come il viso, puo' applicare del ghiaccio per favorire la scomparsa del lieve rossore. L'ef­fetto sara' visibile nel­l'arco di 4 o 5 giorni e perdurera' per un lasso di 2-6 mesi, per poi scemare gradualmente. Le sedute sono quindi ripetibili nel tempo in tutta sicurezza, anche piu' volte l'anno a patto che, ricordiamolo, siano eseguite da mani competenti''.

Responsabile della pubblicazione:


Mario Luigi Pallaoro
di Pallaoro Medical Laser snc

La nascita di un Tumore

Identificate e riprodotte in laboratorio le alterazioni del genoma che provocano i tumori.
L'importante scoperta, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America (PNAS) e presentata in Spagna nei giorni scorsi al congresso internazionale dell’European Molecular Biology Organization (EMBO), è frutto delle ricerche svolte dal genetista Carlo V. Bruschi, responsabile del Laboratorio di Genetica Molecolare del Lievito del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste.
Bruschi e la sua équipe sono riusciti a riprodurre in vivo, usando come modello le cellule del lievito, alcune “traslocazioni cromosomiche” (il collegamento di parti di due cromosomi diversi) e a studiare in dettaglio il modo in cui esse possono fare "impazzire" le cellule.
La scoperta potrebbe essere importante per comprendere come avvengano alcuni dei momenti cruciali della nascita di un tumore, dal concepimento ai “primi passi”.
«Benché fosse da tempo evidente una correlazione tra questo tipo di anomalie genetiche e insorgenza di cellule cancerose e benché fosse in parte conosciuto il meccanismo molecolare che causa le traslocazioni - spiega Bruschi - finora non era chiaro se una traslocazione cromosomica fosse l’origine del tumore o se, invece, ne fosse una conseguenza. Questo perché si possono osservare solo casi di pazienti già affetti da tumore, nelle cui cellule esiste ormai una particolare traslocazione. In pratica, queste osservazioni avvengono quando è ormai troppo tardi per stabilire una relazione di causa ed effetto».
I ricercatori triestini hanno applicato ad alcune cellule di lievito non precedentemente mutate una tecnica chiamata BIT (Bridge-Induced Translocation), sviluppata dallo stesso Bruschi con Valentina Tosato nel 2005, capace di indurre traslocazioni tra cromosomi diversi. I risultati hanno rivelato aumenti nell’espressione genica sia in prossimità del sito interessato dalla traslocazione, sia nei geni che si trovano in cromosomi non coinvolti nell’evento.
«E’ come poter assistere all’evento in diretta, provocandolo e osservandone gli effetti sul nascere» sottolinea Bruschi, esperto internazionale di genomica del lievito e coordinatore nazionale della società scientifica italiana del lievito ZYMI (Zestful Yeast Model system in Italy). «I lieviti sottoposti al BIT mostrano numerose anomalie morfologiche che li fanno assomigliare a cellule invasive. E’ possibile rilevare già al microscopio difetti drammatici nella loro divisione cellulare, inibizione della crescita, mortalità cellulare, formazione di aggregati cellulari e variazioni nella dimensione e nella forma».
Le cellule di Saccharomyces cerevisiae (il comune lievito usato per la panificazione, la vinificazione e la produzione della birra), il cui DNA è stato completamente sequenziato fin dal 1996, risultano essere un ottimo modello per studiare il fenomeno, poichè sono molto simili alle cellule di mammifero e allo stesso tempo sono facilmente manipolabili con l’ingegneria genetica.

Responsabile della pubblicazione: Monica Rio di Globo

Malessere del dopo vacanze, una vera sindrome psicologica

E' chiamata "Post vacation Blues" quella sindrome che colpisce al rientro delle vacanze, un malessere generalizzato intriso di nostalgia e tristezza che si impossessa di noi all’idea della ripresa del lavoro, a fine estate, quando è il momento di tornare alla nostra vita quotidiana.
Qual è il vero meccanismo alla base? Spesso siamo portati a sottovalutare come le esperienze che viviamo in vacanza costituiscano uno dei tasselli più importanti della nostra personalità. E non solo per i ricordi con cui torniamo, e le foto che custodiamo nel portafogli. Spesso l’elemento davvero “terapeutico” è l’attesa stessa della vacanza, l’aspettativa che ci si forma nella mente e che ci accompagna nella vita quotidiana dandoci la forza di accettare lo stress in vista di un’esperienza positiva di svago.
L’idea stessa della vacanza ha due sfumature, può essere analizzata su due livelli. C’è la dimensione collettiva, e quella individuale: un turista, secondo e attraverso la propria personalità, si appropria delle diverse immagini di vacanze che fanno parte dell’immaginario collettivo, e con un rapido bilancio di quella che è la propria vita e quelle che sono le sue possibilità economiche, sceglie se partire, ed eventualmente verso quale destinazione.
Si tratta si una scelta rigidamente mediata da aspetti psicologici: l’immagine del luogo turistico, legata ad un’interpretazione emotiva soggettiva ma suggerita dal linguaggio pubblicitario con mezzi semiotici e persuasivi, è spesso mascherata, trasformata, così accattivante da rendere il potenziale turista inizialmente un semplice spettatore. Infatti è spesso impossibile rendere conto dei processi razionali della scelta, e questo proprio perché non è uno stimolo effettivo che viene scelto, ma quello la cui pubblicità riesce a penetrare più a fondo nella sfera inconscia e affettiva del destinatario, scatenando il desiderio, la motivazione all’acquisto.
Ogni spot, anche quello che sembra più lucido e semplice, immediato e sincero, vuole in realtà scatenare un’emozione, una risposta affettiva che prepari all’azione. L’ideale sarebbe conciliare in uno stesso messaggio pubblicitario, delle motivazioni concrete e reali nell’acquisto di un pacchetto vacanze,accanto all’interpretazione emotiva accattivante. Solo in questo modo l’acquisto sarà motivato e responsabile, giustificabile davanti a sé stessi.
Invece, la tendenza egemone in pubblicità è quella di cercare la seduzione, la spettacolarità dell’immagine che enfatizza contenuti estetici che gratifichino la fantasia del consumatore e lo stimolino a livello emotivo. Viviamo in un mondo in cui la cultura dell’immagine è imperante,sovrana assoluta delle nostre scelte più disparate.
L’idea più ricercata di vacanza oggi è quella che concilia i due poli di passività e attività: da un lato viene enfatizzata la necessità di relax, del recupero dei ritmi naturali; dall’altro lato, vengono apprezzati il dinamismo e la ricerca di uno stacco netto dalla vita quotidiana sedentaria del periodo “invernale”.
Ognuno di noi ha un’idea stereotipata dei diversi luoghi, un modello presente in memoria che trae origine dell’esperienza passata diretta e indiretta di posti visitati, conosciuti più o meno approfonditamente o anche solo oggetto di immaginazione. Proprio questi dati dalla forte componente astratta condizionano il comportamento di ciascun soggetto.
Più l’immagine turistica si avvicina a queste immagini prototipiche, più siamo propensi a giudicarla interessante anche se nuova, perché “comprensibile”. Una minima discrepanza dalle nostre aspettative è accolta di buon grado, purchè essa non superi il limite.
L’importanza dell’idea di vacanza ancor prima che della vacanza stessa è testimoniata da alcuni studi sull’insonnia. Un’equipe di ricercatori dell'università di Oxford ha distrutto il mito del classico rimedio contro le notti insonni, il contare le pecore.
Lo studio ha testato su cinquanta soggetti insonni cronici diverse tecniche di rilassamento, dividendoli in tre gruppi: accanto al gruppo di controllo, un gruppo sperimentale era invitato a concentrarsi su scene tranquille tra le più disparate ma piacevoli (spiaggia, sole, mare, montagna), che realizzassero la loro idea di vacanza. Un altro gruppo sperimentale aveva il compito di ricorrere al metodi tradizionale delle pecore che saltano gli ostacoli.
L’effetto delle immagini di vacanze è stato notevole: il sonno arrivava anche con 20 minuti di anticipo rispetto le altre tecniche.
"Queste immagini – hanno spiegato i ricercatori - occupano più spazio nel nostro cervello rispetto alle vecchie 'abusate' pecore, e sono più facili da trattenere perché più interessanti".
Ecco allora la fortuna della Psicologia del Turismo, che si occupa dei fattori psicologici alla base dei processi di scelta del turista comune, integrando le diverse teorie note nella psicologia generale come “teorie della presa di decisione”. Nella situazione del turista, ricca di novità e incertezze, questi processi assumono infatti rilevanza estrema.
Harris, nel suo articolo “Introduction to decision making” (1998), di cui è disponibile il testo qui (http://www.virtualsalt.com/crebook5.htm), evidenzia come il processo decisionale “consiste in una sufficiente riduzione dell’incertezza e del dubbio sulle alternative, tale da consentire una scelta ragionevole fra le stesse. Questa definizione mette in evidenza la funzione di raccolta delle informazioni nel processo decisionale. Si dovrebbe notare che l’incertezza è ridotta e non eliminata. Pochissime decisioni vengono prese con assoluta certezza perché raramente è possibile una conoscenza completa su tutte le alternative. Così, ogni decisione comporta un certo rischio”.
Ogni scelta dipende fortemente dall’ambiente nella quale viene messa in atto, e dalle informazioni disponibili nel momento in cui si rende necessaria.
Francken e Van Raaij (1984) hanno presentato una classificazione della sequenza che porta, attraverso alcuni passaggi, alla decisione di intraprendere un viaggio. Il loro modello è suddiviso in cinque stadi che sono:

- decisione generica, un primo stadio in cui viene semplicemente deciso di partire per la vacanza

- acquisizione di informazioni (stadio in cui la pubblicità e le agenzie di viaggio, i mass media e gli operatori turistici, hanno gran rilevanza accanto alle testimonianze di amici e parenti)

- decisione congiunta, ossia l’influenza dei diversi membri di una famiglia nella scelta della vacanza

- attività delle vacanze, che derivano dagli interessi delle persone coinvolte, ma anche ha hobbies e abitudini delle stesse

- soddisfazione e reclami susseguenti, che derivano da una piu o meno attenta analisi pesata di costi e ricavi della vacanza stessa: i benefici ottenuti sono proporzionatiagli investimenti fatti per andare in vacanza?

Come altre teoria della decisione, questa fa riferimento ad un modello di elaborazione dell’informazione, che utilizzando la metafora del diagramma di flusso che concatena diversi eventi paragona l’essere umano ad un calcolatore dalla massima razionalità.

In conclusione, possiamo dire che la Psicologia è in grado sicuramente di svolgere un ruolo importante nell’individuare le caratteristiche che contraddistinguono i processi decisionali di un individuo in materia di vacanze, ma soprattutto può diventare un mezzo utile per tutti coloro che hanno interessi ad “accalappiare” il turista e influenzarlo nelle scelte.

Di Sonia Pasquinelli

Pubblicato da Emanuele Tolomei di espertoseo.it


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